Opinioni di
Domenico
Novacco

domenica 2 marzo 2008

Senza titolo (*)

      L’ultima opinione è datata 27 gennaio. Raccontare ai singoli i problemi dei singoli non produce opinioni ma altro. Perciò dell’individuo parleremo in altra sede; e allora perché oggi riprende? Perché il rifiuto di accettare un controllore delle spese non può che farci ogni giorno più male.

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(*) Nota

      Domenico Novacco ci ha lasciati dopo ulteriori trentacinque giorni di grandi sofferenze fisiche e spirituali. Ha mantenuto la sua tempra di combattente riservato fino agli ultimi istanti, senza un lamento. Ventiquattro ore prima di morire, al medico che lo visitava, constatando una condizione clinica in costante peggioramento, diceva di stare “bene”.
      Il 2 marzo, dal letto di ospedale dove sarebbe spirato pochi giorni dopo, ha espresso la sua ultima opinione. Da alcuni mesi parlava del suo desiderio di chiudere la rubrica con una “Ultima opinione”, ma la sua vitalità e la sua incapacità di essere indifferente alla società e alla storia lo hanno portato ad esprimere il suo pensiero fino alla fine, trascendendo la propria condizione individuale. Ci manca enormemente il suo esempio e la sua capacità di leggere fra le pieghe degli eventi.


domenica 27 gennaio 2008

Non sempre la velocità avvicina il traguardo

      Forse troppi tra i tanti elettori fanno finta di non aver capito che riforme elettorali non vuol dire riforme costituzionali. Certo servono anche le prime, ma prioritarie sono le seconde, come sanno benissimo i “venticinque” amanti di queste opinioni, nonché i lettori de “La Critica Sociologica”.
      (Cfr. il mio articolo Lavori in corso per la riforma della Costituzione italiana in “La Critica Sociologica”, n. 150, luglio-settembre 2004, pp. 48-52)

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venerdì 18 gennaio 2008

Motus in fine velocior

      Il 2008, forse perché bisestile, accelera sui temi delle imprescindibili riforme.
      Oggi, 18 gennaio, ci chiediamo: sarà il referendum a costringere il Parlamento o sarà il Parlamento a fare a meno del referendum?

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lunedì 10 dicembre 2007

Supplenti, precari, intrusi

      Nella tormentata quotidianità della repubblica italiana, “nave senza nocchiero in gran tempesta”, si incontrano tutti i giorni, ad ogni angolo di strada, categorie di persone che hanno in comune la non affidabilità.
      La prima è quella dei supplenti: i magistrati, ai quali l’opinione pubblica, disorientata e nauseata per l’indecisione cronica e permanente del ceto politico, ha ripetutamente delegato funzioni sostitutive e sostanzialmente di governo. Ma la magistratura italiana si ispira ad una filosofia giuridica che privilegia la redenzione del reo piuttosto che la sua condanna per aver violato la legge dello Stato.
      La seconda è quella dei precari: sono i portaborse, gli autisti, i guardaspalle, tutti solidalmente interessati a che la casta del potere politico e sindacale e le strutture centrali e periferiche possano continuare indisturbate nella loro privilegiata condizione socio-economica.
      Intruso è, infine, Beppe Grillo che, richiamandosi al precedente dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, commette l’errore di sollecitare la scomparsa dei politici. Scomparsa che è obiettivamente assurda, perchè ogni società non può che essere nella “polis” e, perciò, politica.
      Si tratta, invece, di cambiare radicalmente la classe politica. Sarà possibile questo? Lo avevamo già proposto qualche tempo fa, in Mafia ieri mafia oggi, Feltrinelli, Milano1972.

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martedì 27 novembre 2007

L’asino di Buridano

      Nel secolo XIV alla Sorbona di Parigi si discuteva sulla volontà come unico motore delle azioni; il rettore Giovanni Buridano venne giustamente beffeggiato dai suoi studenti (o clerici vagantes): costoro contrapposero al Maestro l’obiezione che, se questo fosse stato vero, un asino equidistante da due mucchi di fieno morirebbe per anoressia, non subendo una spinta determinante all’azione.
      L’Italia di Pecoraro Scanio e di Diliberto somiglia molto a quell’asino eroe della polemica del Quartiere Latino. Noi, infatti, niente Tav, niente Ponte sullo Stretto, niente termovalorizzatori, niente... niente di niente. Le carceri, chi le costruirà? Gli ospedali? Le scuole?

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mercoledì 7 novembre 2007

Indecisionismo cronico

      Le caste dei privilegiati e le classi dei boiardi difficilmente percepiscono la tempesta che si addensa su di loro. A voler ricordare qui alcune delle ultime occasioni nelle quali la Repubblica italiana ha fatto delle scelte importanti non possiamo trascurare né il 1987 della rinuncia al nucleare, né il 1993 del timido tentativo di introduzione del maggioritario. Una riforma vera c’è stata, sì, l’adozione dell’euro. Ma essa ha provocato la fine della svalutazione competitiva della moneta nazionale.
      Ed eccoci qui, con le idee tanto confuse, con la cronaca tanto emozionante, con l’invasione in atto di gente che fugge o dalla miseria del terzo mondo o dai paesi del defunto sistema sovietico. Se ci guardiamo intorno tutto è vecchio, tutto è da rifare, tutto è da decidere, ma non sappiamo più se il problema è davvero di legge elettorale, come si dice o se è invece di riforma costituzionale, come in queste opinioni si è sempre cercato di sostenere.

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sabato 15 settembre 2007

Parole o numeri?

      Babele, secondo la Bibbia, fu generata dall’eccesso delle parole.
      Nel nostro caso, sui problemi della Repubblica italiana del 2007, non sappiamo più se, anziché alla Bibbia non convenga piuttosto pensare a Pitagora, maestro di numeri della Magna Grecia.
      Chi saprebbe, infatti, indicare una sola giornata delle prossime 108 che ci separano dal futuro Capodanno, che non appaia interessata da riunioni, adunate, convegni e pinzillacchere comunque individuabili con un numero? Pitagora distingueva i numeri in maschili o dispari e femminili o pari e riteneva addirittura che esistesse il parimpari, padre degli uni e degli altri. Ma noi 2500 anni dopo ne abbiamo escogitata una più di lui: dall’8 settembre fatidico di Badoglio e di Beppe Grillo via via fino al numero di partiti che non riescono più neppure a contarsi, ai sottosegretari che marciano contro il loro Presidente del Consiglio e alle opposizioni che scambiano i sondaggi per risultati elettorali, quanti numeri sono portatori di significati assai più delle parole?

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venerdì 17 agosto 2007

Opinione ferragostana

      In realtà non è accaduto nulla che non avessimo già immaginato, almeno in queste opinioni. Si accentua giorno dopo giorno, però, l’insubordinazione delle Regioni verso lo Stato, fino al limite della separazione minacciata. Si accentua anche la contestazione delle Province verso la Regione e dei Comuni verso la Provincia. Tutto questo testimonia soltanto che il problema non è solo amministrativo ma ancora una volta costituzionale, giacché dobbiamo smetterla di avere paura di questo o di quello e di chiamare federalismo quello che è soltanto autonomismo esasperato.

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lunedì 13 agosto 2007

Notizie di luglio - sia pure in ritardo

      La prima notizia è l’inatteso successo dei referendari.
      La seconda è la richiesta del magistrato milanese Clementina Forleo alle istituzioni parlamentari di autorizzarla a conoscere quel che è normalmente segreto delle due assemblee.
      La terza notizia riguarda le 600.000 copie che il saggio di Gian Antonio Stella e di Sergio Rizzo ha già venduto, avviandosi ormai, a maggior gloria di Rcs, verso il milione: fenomeno inconsueto e pressoché nuovo nel nostro paese.
      La quarta notizia concerne la evidente stanchezza della opinione pubblica intorno al tema della “casta”, cioè dei privilegiati che non rispondono a nessuno del proprio operato. Si avvertono, infatti, segni di neoqualunquismo, come l’iniziativa dell’attore Beppe Grillo, preparata per il prossimo 8 settembre, e, ancora peggio, la chiara insubordinazione che comincia a farsi strada anche fra i più alti gradi dell’amministrazione pubblica.
      Certo, ogni società ha avuto ed ha i suoi privilegiati, ma quando il limite è superato accade quel che accadde ai pretoriani imperiali di Roma, ai nobili ed ecclesiastici francesi del 1789, e quel che Carlo Marx credeva fosse sul punto di accadere, grazie al proletariato insorgente, alla borghesia industriale inglese.
      Le altre notizie alla prossima opinione.

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domenica 8 luglio 2007

Nuovo e antico

      Due versi di Giovanni Pascoli mi perseguitano in questi giorni: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”. Mi riferisco non alla lacrimosa lirica del poeta ma al nuovo e all’antico che quotidianamente si scambiano il posto col risultato di elidersi a vicenda.
      Il lettore di queste opinioni avrà capito che ci si riferisce alle riforme costituzionali. Dove il “nuovo” ogni giorno appare e l’ “antico” ricompare quando credevamo di averlo accantonato. Il referendum è nuovo, ma siamo quasi al traguardo del tempo per raccogliere le firme (24 p.v.), e non siamo affatto tranquilli sul raggiungimento certo e non contestabile delle 500.000 firme necessarie.
      Tutti sanno che i partiti devono diminuire, la “casta” deve confessare i suoi indebiti privilegi e abbandonarli, che un intero settore della improduttività strutturale del Paese sta avvinghiato alle istituzioni del ’47, alle regioni sopravvenute, alle comunità montane spesso inutili, alle province da molte parti segnalate come superflue e viceversa in travolgente espansione numerica.
      Se le cose stanno così, quando il nuovo non aspira a innovare e l’antico difende solo privilegi di cui usufruisce spudoratamente, c’è poco da stare allegri.
      Se non abbiamo il coraggio di dire a chi compete ope legis la responsabilità ultima nelle decisioni di carattere collettivo e nell’uso del denaro pubblico, gli episodi di insubordinazione e di disobbedienza, così frequenti e amari nei giorni che viviamo, si moltiplicheranno sempre più.

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domenica 27 maggio 2007

Breve storia della democrazia: ieri, oggi, domani

      La democrazia nacque in Grecia nella metà del secolo V a.C. ad opera di un cittadino di Atene di nome Pericle, che non ricopriva alcuna carica pubblica. Venti anni dopo morì, sempre ad opera dello stesso Pericle. Ne rimase definitivamente compromessa l’indipendenza del mondo greco.
      Dopo qualche fugace apparizione nell’area latina, la democrazia rinacque dopo l’anno 1000 in Germania, a Lubecca nell’Hansa renana, e contemporaneamente in Italia nei comuni padani, toscani e romagnoli. Ma gli anseatici finirono poi sotto l’impero, i re, i principi; i nostri, tanto guelfi che ghibellini, sotto signorie locali, principati, vescovi e papi. Tuttavia i numerosi nemici della democrazia nell’età moderna non riuscirono mai più a cancellarla.
      La filosofia infatti si era alzata a difenderla: da Machiavelli a Hobbes, da Spinoza a Locke fino a Kant e al Popper della “società aperta”, la democrazia si è sempre ripresentata in forme varie.
      Fu così liberale e produttiva nel mondo anglosassone, giacobina e dittatoriale nel terrore francese. Nell’uno e nell’altro caso, però, parlava di cittadini eguali fra loro. Solo che, nel frattempo, non più i cittadini, accomunati dalla propria unità di lingua e di nazione, ne erano rimasti titolari, bensì le persone, i singoli esseri umani i cui diritti precedono quelli delle leggi statali nazionali. Così infatti si legge nella Costituzione italiana del 1947 e nel Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’Onu, votata il 10 dicembre 1948.
      Negli ultimi anni, poi, altri protagonisti si sono fatti avanti: i consumatori, per quanto attiene al mercato, i risparmiatori per quanto riguarda il capitale e la borsa. È probabile dunque che la metamorfosi della democrazia, già così vivace nella nostra generazione, si accentui ulteriormente nelle generazioni successive sino al punto che, oggi come oggi, possiamo porci la domanda: “Che democrazia ci sarà domani?”.

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mercoledì 2 maggio 2007

Repetita iuvant

      Ventisette anni or sono il segretario politico del P.S.I. Bettino Craxi lanciava l’idea di una grande riforma costituzionale. Da allora ogni giorno si susseguono, nella vita italiana, polemiche dottissime e confusi tentativi che lasciano, le une come gli altri, le cose come stavano prima. Inutilmente il prof. Giovanni Sartori ha fatto ricorso al latino maccheronico, dal mattarellum fino al porcellum, per chiarire ai suoi lettori l’inanità di quelle polemiche. Taluni tra i confusi tentativi indussero qualcuno a parlare di seconda repubblica da contrapporre alla prima, di centralismo da contrapporre al localismo, di rivalutazione dei ceti produttivi da contrapporre ai ceti privilegiati e parassitari.
      Noi tuttavia avevamo, o meglio, credevamo di avere, un’ancora di salvezza oltre ogni possibile dubbio: l’Unione Europea. Oggi anche questa naviga nella più nera tempesta.
      Maggioritario o proporzionale, economia di mercato o economia globale, referendum o legge del parlamento: non importa quale sarà la scelta. L’importante è che questa avvenga non troppo tardi e tamponando quelle falle che abbiamo già segnalato in precedenti opinioni, individuando finalmente il responsabile legale di ogni spesa, di ogni decisione e di ogni mancata decisione.

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giovedì 19 aprile 2007

Riforma del sistema elettorale e referendum

      Che Umberto Bossi fosse contrario, ce lo aspettavamo, perchè il leader della Lega ha sempre pensato alla Padania come a una “nazione”. Che fossero contrari tutti i titolari dello “zero virgola” ce lo aspettavamo ugualmente. Ma che fossero contrari la Margherita delle grandi speranze e la Quercia delle grandi certezze non ce lo aspettavamo proprio. I costituzionalisti Guzzetta, Barbera e Ceccanti hanno superato Marco Pannella nell’arte di spaventare i politici professionisti.

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venerdì 23 marzo 2007

Cui prodest?

      Leggi sul lavoro, sulle pensioni, sui matrimoni, sulle convivenze, sulle elezioni del sindaco, del governatore della regione e, finalmente, la legge delle leggi, cioè la Costituzione della Repubblica, sono diventati un nodo talmente difficile da dipanare che neppure l’Alessandro macedone di Gordio avrebbe trovato la soluzione adatta.
      I nostri lettori hanno la coscienza tranquilla, perchè una graduatoria tra le sette opzioni possibili (prima questo, poi quello) l’abbiamo ripetuta tante volte. Il debito pubblico ci asfissia e ci mortifica. Eppure ogni giorno il panorama appare nuovo e si ricomincia daccapo. Cui prodest?

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domenica 4 marzo 2007

Insistere, insistere, insistere

      Una saggia opinione dei romani diceva letteralmente: “gutta cavat lapidem, non vi sed saepe cadendo”. Traduco piuttosto liberamente per l’eventuale lettore non avvezzo: “l’acqua riesce a perforare la pietra, non già con la violenza dell’urto ma con la continuità della sua caduta”.
      Il ricordo e la pratica di tale opinione è particolarmente utile a noi oggi perché nessuno cada nella trappola che ci viene quotidianamente propinata dai mass media, della maggioranza e dell’opposizione.
      Fateci caso: tutti parlano di riforma e non chiariscono che quella elettorale, pur essendo di per sé molto importante, non appartiene affatto alle riforme di cui da cinquant’anni almeno andiamo alla ricerca. Anzi, per certi aspetti, ne è l’esatto contrario. Noi abbiamo bisogno sì, di riforme, ma che concernano la sfera delle istituzioni, le competenze e le responsabilità e non già la crescente partecipazione delle masse, che spesso finisce per contestare allo Stato e perciò alla Costituzione il fondamento e la garanzia della legalità.
      Sia ben chiaro dunque che l’eventuale nuova legge elettorale non ci esime affatto dalla delimitazione costituzionale dei poteri e dalla conseguente cancellazione forzosa delle spese inutili come garanzia della sovranità democratica della Repubblica, cioè dello Stato.

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sabato 3 febbraio 2007

2007: l’anno tanto atteso?

      Chi scommetterebbe oggi un centesimo che il 31 dicembre avremo il nuovo testo costituzionale? Le probabilità diminuiscono a vista d’occhio perchè c’è un’evidente divaricazione tra il campanile e l’immagine di un grande paese moderno. Alla fine dell’anno 2007 staremo ancora a chiederci se Calderoli va bene e Gianfranco Fini no, se il PDS ha titoli sufficienti per rivendicare a se stesso la democrazia repubblicana o se i moderati di centro hanno carte e diritto per contestare una tale pretesa. Però ogni giorno che passa, in una Europa senza Costituzione e senza una vocazione di grande potenza la situazione diventa certamente rischiosa.

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sabato 27 gennaio 2007

Il fantasma della riforma costituzionale

      Nell’opinione inaugurale dell’anno il ruolo dell’ottimista spetta, ovviamente, al venditore di almanacchi. Ma intorno alla questione costituzionale italiana, a fine gennaio 2007, chi è disposto ad assumere il ruolo dell’ottimista?
      Che la finanziaria dovesse precedere i lavori di revisione costituzionale era abbastanza ovvio, ma, superato questo scoglio, le difficoltà non accennano affatto a diminuire, anzi, si moltiplicano.
      La proposta di Giuliano Amato, che prevedeva competenti non parlamentari, da inserire come tecnici nella commissione redigente delle riforme è naufragata strada facendo. E poi l’indirizzo di trasformazione dovrà essere quello ormai venticinquennale del c.d. federalismo localistico del vecchio campanile, o quello, segnalato già da Giuseppe Maranini negli anni ’50 come definizione rigorosa della natura, dei limiti, delle funzioni dei singoli organi costituzionali in modo che si sappia chi decide cosa e chi paga i costi?

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sabato 30 dicembre 2006

Auguri!

      Alla fine del 2006 ed all’inizio del 2007 consentite a questo vostro amico di esprimere un augurio e di farvi un regalo. Il regalo lo comprerete a vostre spese in qualsiasi libreria attrezzata, chiedendo le Operette morali di Giacomo Leopardi. Poi cercherete tra esse il dialogo tra un venditore di almanacchi ed un viandante. Avrete molto da imparare, liberandovi, in un colpo solo, della retorica degli imbecilli e della depressione dei saggi, indotte dall’attuale modo paganeggiante di celebrare le ricorrenze.

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domenica 10 dicembre 2006

La Costituzione Europea oggi

      La bozza Valery Giscard d’Estaing, bocciata qua e là, rinviata a referendum molto improbabili, è più morta che viva. Tuttavia di Europa nel mondo c’è bisogno assai più del pane quotidiano. I continenti esterni lo dicono lealmente e insistono, ma non hanno capito che l’Europa post-Prodi è assai meno interessata alla politica degli stati che a quella dei cosiddetti diritti delle persone. L’UE rischia così di non poter sviluppare nei prossimi anni alcuna politica, tanto più che esclude a priori (anche se ancora non lo ha confessato apertis verbis) le spese militari.
      Tutti hanno bisogno d’Europa ma questa è talmente post-nazionalista, post-colonialsta, post-imperialista, che non trova spazio in bilancio per le spese relative alla politica di una grande potenza. Il vuoto, diceva Aristotele, in fisica non esiste: noi possiamo aggiungere che non esiste neppure in politica.

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mercoledì 29 novembre 2006

L’unità d’Italia resiste?

      L’imminente Rapporto Censis e il Rapporto Svimez, che saranno presentati al pubblico nella prima quindicina di dicembre, avranno un peso sui rapporti fra le forze politiche, perchè ormai il problema è abbastanza chiaro. Il Sud sta al futuro del nostro paese pressappoco come questo sta al futuro dell’Europa. Il rischio è grande, sia per l’UE, sia, più modestamente, per quella nazione chiamata Italia, che si vanta di esserne fra i fondatori ma rischia di risultare tra i suoi “affondatori”, perché se l’unità italiana traballa molte cose entrano in discussione, UE compresa.

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domenica 12 novembre 2006

Pessimismo diffuso

      La precedente opinione lasciava un margine di ottimismo alle attese del lettore. Constatava il nesso ormai inestricabile tra finanziaria e lavori costituenti, ma si ostinava a credere che il cittadino italiano desse segni di risveglio.
      Purtroppo le prese di posizione degli ultimi giorni tornano a complicare la situazione e a rinviare, alle calende che ormai chiameremo “italiane”, gli improrogabili impegni di revisione contestuale della riforma Bassanini e della recentissima D’Onofrio.
      Sia chiaro a tutti, fin da oggi, che l’eventuale riforma elettorale, anche se andasse in porto, non ha niente a che vedere con la riforma della Costituzione. Sia chiaro altresì che gingillarsi su problemi marginali e contingenti vuol dire candidarsi ad un nuovo insuccesso.
      Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ben conosce almeno l’Europa ed il Mezzogiorno d’Italia, insista. Noi siamo con lui.

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mercoledì 18 ottobre 2006

La riforma della riforma costituzionale

      La maggioranza degli italiani ha preso atto che il dibattito sollecitato da Giorgio Napolitano sarà fortemente influenzato dalla finanziaria in corso di approvazione. Siccome la finanziaria a sua volta è fortemente condizionata da problemi finanziari e fiscali appare oggi possibile che la maggioranza degli italiani colga finalmente l’essenza del problema. Tutto è importante, in un dibattito sulla riforma costituzionale, ma più importante di tutto è che si introduca nel testo riformato la competenza e la responsabilità di un istituto (per esempio, la Ragioneria Generale dello Stato) incaricato di dire l’ultima parola in fatto di spesa pubblica. Quel che deve essere veramente deciso, una volta per tutte, è la fine di un sistema in cui, a spesa effettuata, non si riesca ad individuare chi, dove, perchè l’abbia decisa.
      Il resto verrà dopo, discutendo e decidendo di autonomie locali, di Stato più o meno federale: importantissime questioni, ma da affrontare solo in seconda battuta.

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mercoledì 4 ottobre 2006

A quando le riforme costituzionali?

      Del presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano abbiamo segnalato una positiva interpretazione dei prossimi indeclinabili interventi di riforma costituzionale. A scanso di possibili equivoci ribadiamo oggi che nessuna riforma sarà possibile se prima non si procede ad individuare l’istituzione a cui spetta l’onere della spesa (per esempio, la Ragioneria Generale dello Stato) e non si chiarisce alla pubblica opinione che la moltiplicazione dei pani e dei pesci esiste solo nel racconto evangelico.
      Condizione preliminare, quindi, la soppressione delle province, per evitare l’equivoco attuale che moltiplica le spese oltre ogni ragionevole equilibrio.
      Conoscendo l’autorità che decide la legittimità della spesa e chiarendo che il miracolo delle decisioni locali pagabili a piè di lista avrà fine, forse l’opinione pubblica nazionale comincerà a pensare alle ipotesi di riforma con minore diffidenza e con qualche speranza.

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domenica 24 settembre 2006

Intercettazioni

      Il lettore rilegga il testo dell’Opinione datata 25 maggio ultimo scorso nella quale si preannunciava l’imminente morte del telefono per uso e abuso di intercettazioni.
      Era in pericolo solo il mondo del calcio e nessuno raccolse l’allarme. Il 23 settembre il governo ha pubblicato un decreto legge anti-intercettazioni. Meglio tardi che mai, anche se amareggia pensare che il decreto nasca dalle preoccupazioni di ceti assai privilegiati.
      Tuttavia la previsione rimane identica: il telefono è in pericolo.

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giovedì 07 settembre 2006

Si ricomincia

      Il Presidente Napolitano lega in un unico discorso la riforma ispirata dal centro-sinistra del 2001 e la più recente riforma D’Onofrio del 2005. Questo è un buon punto di partenza perchè non si tratta di due diversi discorsi, ma di uno solo. Il lettore di queste opinioni sa già che, in materia, poche idee ma ferme sono la condizione per uscire dalle chiacchiere ed entrare finalmente in una vera riforma costituzionale.

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martedì 28 luglio 2006

Quando l’Imperatore andava in ferie

      L’Imperatore Augusto nell’anno 727 ab urbe condita, ossia 27 anni prima che cominciasse l’era volgare, estese a tutti i lavoratori agricoli il diritto ad un periodo di riposo dopo un anno di lavoro: le feriae di Augusto. La gente, al solito, maccheroneggiando, tradusse quelle ferie di Augusto nel “ferragosto”. Con Ottaviano erano 14 giorni; la Chiesa ci ricamò su alcuni suoi santi e le ferie divennero 3 settimane. Seguì, più di recente, il movimento sindacale, che ha aggiunto un’altra settimana, diciamo così, laica.
      Noi, tanto come atei devoti quanto come credenti farisaici, seguiamo l’esempio dei più, perchè, come insegnava Benedetto Croce, “non possiamo non dirci cristiani”.
      Perciò da oggi le opinioni non vanno più in rete fino a dopo il ferragosto, in modo da offrire ai nostri... 24 lettori un meritato riposo dopo un anno di onesto lavoro.

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venerdì 14 luglio 2006

Italia federale NO, Italia delle autonomie SI

      NO fermissimo alla federazione, SI fermissimo alle autonomie locali, previa soppressione delle 110 province che già Luigi Einaudi considerava inutili.
      Piero Calamandrei ci aveva insegnato che lo stato unitario, se nasce federale, è più solido e indissolubile di qualsiasi altro. Citava in proposito i fieri valligiani dei tre primi cantoni svizzeri di Schwytz, Uri e Unterwalden che otto secoli or sono decisero di dar vita ad una repubblica federale la quale oggi ancora, in un mondo completamente diverso, continua ad essere non solo vitale ed efficiente ma piena di speranze e di futuro. Aggiungeva poi il più noto esempio delle colonie inglesi d’america, che, ribelli a Sua Maestà britannica per ragioni di tasse, crearono gli USA (United States of America), esempio luminoso di unità e di potenza.
      Noi, invece, quando negli anni 80 del secolo scorso ci scontrammo con i primi segnali delle leghe subalpine, provammo una tale paura da indurci a blandirne i protagonisti con promesse assurde e concessioni contraddittorie, da destra e da sinistra.
      Su questo punto occorre essere chiari: NO alla FEDERAZIONE, per evitare il malinconico destino dell’Unione Sovietica o della Jugoslavia.
      È un NO che non chiude affatto alcuna porta allo sviluppo del paese, ma anzi ne valorizza le antiche tradizioni proiettandolo in una Europa essa stessa in cerca del proprio passato e del proprio futuro.

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martedì 4 luglio 2006

Lectio brevis de constitutione reformanda

      NO alla repubblica federale, NO all’istituto della “provincia”, NO allo Stato che paga a piè di lista.
      SI alla repubblica delle autonomie, con personale da recuperare dalla sopprimenda provincia, per destinarlo a Regioni e Comuni. SI ad una cultura non già localistica, ma fondata sulla tradizione delle mille sedi in cui la patria italiana si è nei secoli costruita. Difficile, certo, discriminare fra i tanti NO e i tanti SI, ma solo questo potrà liberarci da paure inconsulte di gesti apparentemente risolutivi, in realtà suicidi. La Jugoslavia insegni.

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venerdì 30 giugno 2006

Un’imprevista pioggia di NO e di SI
(quando i sedicenti “addetti ai lavori” non se lo aspettavano affatto)

      L’elettorato distratto, assente, qualunquista, intimidito dal quorum, si riappropria della sovranità costituzionale quando nessuno gliela richiede. La media dei votanti, anziché precipitare nell’indifferenza, ha proceduto nella direzione opposta. Può darsi che la sfacciataggine dei professionisti della politica riesca a impadronirsi anche di questo inatteso recupero di sovranità popolare. Certo i NO dovevano e devono essere tanti, ma anche i SI dovevano e devono essere tanti.
      In una prossima opinione offriremo ai nostri fedelissimi lettori un sorprendente elenco di cose da cambiare e di cose da non cambiare, liberando il tema dalle eccessive reciproche scomuniche.

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lunedì 19 giugno 2006

Cartella clinica per un malato un tempo illustre

      In Europa i liberali dimagriscono, i socialisti si frammentano, i cristiani si scomunicano tra destra e sinistra, tra cattolici e ortodossi. Sopravvivrà il nostro malato a terapie che producono stenosi mortificanti o cariocinesi debilitanti?
      Eppure senza Unione Europea nessuno dei 40 stati nazionali esistenti o virtuali avrà un futuro.

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martedì 6 giugno 2006

Aggiungere per aggiornare

      Le Vestali della Costituzione della Repubblica hanno sempre contestato, negli ultimi 30 anni, ai cittadini italiani il diritto di aggiornarla. Temevano, infatti, che la pretesa di aggiornamento fosse nulla più che l’alibi per modificarla snaturandola.
      Eppure nessuno parla di eventuale cancellazione o surrogazione di qualcuno dei 12 “principii fondamentali” del testo votato il 23 dicembre 1947. Principi che contengono il segreto del successo planetario che la nostra carta costituzionale ha avuto e continua ad avere.
      Allora perché tanta resistenza? Aggiungere qualcosa al testo di allora è operazione necessaria non più rinviabile: su troppi problemi i nostri costituenti rimasero silenti perché non li conoscevano affatto. Aggiungere, dunque, per aggiornare e dar vita a quegli elementi - ambiente, famiglia, ricerca, autonomie - su cui più viva è la discussione e sui quali più agevole dovrebbe riuscire il mettersi d’accordo.

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venerdì 26 maggio 2006

Trattato brevissimo sulla “concertazione”

      Federico Fellini in Prova d’orchestra tentò di far capire che il “concerto” non è un accordo di mediazione e neppure una confusa babele di iniziative incontrollate: ma non fu capito.
      I classici della filosofia erano stati molto chiari in proposito: Aristotele rilevando che, tra le proposizioni antitetiche A e B, se A è vera allora B è falsa, se B è vera allora A è falsa e tertium non datur; Hegel, invece, saltellando dalla tesi alla sintesi aveva fatto tra A e la sua antitesi B un certo mélange dialettico.
      Solo il pragmatismo americano di John Dewey risolse la questione sostenendo che i giudizi sono scelte pratiche, nel senso che è vero solo quello che ci interessa.
      Concertare tra sindacalisti e politici significa:
      A) perder tempo e non concluder mai, oppure
      B) costringere i lavoratori allo sciopero “a prescindere” o, infine,
      C) piegare il politico a scrivere sotto dettatura la soluzione da adottare.
      Di quest’ultima soluzione abbiamo un esempio nella “mitica” riforma delle pensioni firmata da Lamberto Dini, presidente del Consiglio, nel 1995.

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giovedì 25 maggio 2006

Il lettore indovini di che si parla

      Incerto è il padre: o Alexander Graham Bell, come ritengono gli americani, o Antonio Meucci, come è opinione diffusa in Italia. Sappiamo, però, chi sta preparando la sua scomparsa: si chiama Luciano Moggi. Le intercettazioni, infatti, sospingono i più ad usare aerei low cost o magari l’antico coche de San Fernando (que se fue de pie y volvió andando) tutte le volte che il gusto immortale ed irrefrenabile del gossip induce Caio a parlare con Tizio delle “virtù” della moglie di Sempronio.

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mercoledì 17 maggio 2006

Quando l’economista è ottimista

      Accade sempre e a tutti. Accadde all’autore de “La ricchezza delle nazioni”, Adam Smith, che fondò il liberismo, a Karl Marx che inventò il comunismo, a John Keynes che inventò il consumismo.
      Formidabile nella polemica contro monopoli e privilegi, Smith non si accorse che il liberismo ne creava uno nuovo: il privilegio del capitale.
      Formidabile nella scoperta del proletariato industriale, quale futuro artefice della fine dell’oppressione borghese, Karl Marx non si accorse che mancava nel suo futuro sociale la libertà, ossigeno e clorofilla della vita tra gli uomini.
      Formidabile supporto del new deal di Roosvelt, John Keynes inventò il “deficit spending” come stimolo ed avviamento del motore dei consumi.
      Non tenne conto, però, di quell’avvertimento vichiano in base al quale il primo consumo è il necessario, cui segue il superfluo, che cede a sua volta il posto allo spreco.

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mercoledì 3 maggio 2006

Quantità e Qualità

      Che la società voglia progredire di generazione in generazione è cosa risaputa, antichissima e assolutamente positiva. Ma che il progresso delle condizioni materiali della vita umana possa procedere contemporaneamente sui due binari della quantità e della qualità appare assai improbabile se non addirittura contraddittorio. I rischi sono due: la bomba demografica e l’illusione dello sviluppo sostenibile. Tra il secolo XVIII e il XX la popolazione sulla terra non superò mai i 2 miliardi di persone. Ci si illuse dunque che il problema fosse tutto economico e tecnico, che bastasse non prendere sul serio Malthus e inventare una politica economica di redistribuzione delle risorse per risolvere il problema. Quando però nel XX secolo si diffuse e si impose il mito dello sviluppo sostenibile, il problema da quantitativo divenne qualitativo, entrando con ciò in collisione con la possibilità stessa di ogni ulteriore progresso “per la contraddizion che nol consente”. La qualità infatti non accresce gli elementi materiali della vita, ma si limita a stimolare le esigenze dei consumatori, mettendo in crisi le risorse del pianeta e le possibilità stesse del vivere presente e futuro. Occorre dunque scegliere.

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domenica 23 aprile 2006

Benpensanti

      Alla fine del primo secolo dopo Cristo, quando cominciò a farsi concreta la minaccia dei cristiani e dei barbari contro l’impero universale di Roma, i benpensanti si giravano dall’altra parte per non vedere, dilettandosi semmai sulle pagine del “Satiricon” di Petronio Arbitro, specchio fedele della loro decadenza morale.
      Il 29 maggio del 1453, quando i giannizzeri turchi erano già dentro le mura di Costantinopoli, i benpensanti bizantini che facevano mai? Dotti, accademici, ecclesiastici discettavano intorno al sesso degli angeli.
      All’inizio del 1793, quando il terrore giacobino dominava la Convenzione, che facevano mai i benpensanti francesi? Luigi Capeto riparava orologi antichi, la regina Maria Antonietta faceva confusione fra il pane del popolo e le brioches dei privilegiati.
      L’opinione pubblica europea, benpensante da sempre, cosa fa oggi di fronte al pericolo giallo, al terrorismo islamico, all’invasione extracomunitaria? Si gira dall’altra parte, nutrendosi di frivolezze, antidoto eterno delle cose serie. Così i benpensanti italiani fanno esercizi di alta aritmetica per stabilire se il 50%, il fifty-fifty, sia il risultato di un 51 che scende a 50 o di un 49 che sale al gradino superiore. Gli altri benpensanti europei seguono a ruota, inseguendo OGM più o meno fantasiosi, utili comunque ad attrarre attenzioni distratte dai temporali presenti e futuri.

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lunedì 3 aprile 2006

Illusioni e delusioni

      I grandi processi storici hanno questo di caratteristico: le conclusioni a cui giungono non corrispondono mai alle intenzioni dei loro attori e protagonisti. Alcuni filosofi hanno definito “eterogenesi dei fini” la sorpresa dei vincitori e dei vinti a conclusione di ogni vicenda di dimensione planetaria.
      Chi vincerà tra dieci giorni nelle elezioni politiche italiane? Poco importa saperlo perchè l’unico esito prevedibile si può riassumere nella certezza che i problemi veri non saranno stati neppure sfiorati dalla maggioranza di destra o di sinistra, del centro o della periferia.
      Problema vero è l’opzione tra rigidità o flessibilità nel lavoro, nella rivendicazione dei diritti, nel futuro dell’Europa, nella conservazione o nell’abbandono di antiche istituzioni e di strutture che le religioni rivelate dichiarano irrinunciabili e che il pensiero moderno e laico giudica invece da rottamare.
      Siamo tutti insieme appassionatamente entro un intreccio di cui non sono prevedibili gli esiti. La mediazione tra attese così opposte e contraddittorie avverrà certamente nelle future generazioni, ma mediatori non saranno gli uomini, bensì la storia a cui Hegel attribuiva il dono dell’ironia.
      Forse tra cinquanta anni avremo perso tutti o avremo vinto tutti. L’unica cosa da non fare è quel che fanno in questi giorni a Saxa Rubra: comportarsi come se quelle pietre rosse fossero davvero l’ombelico del mondo e non già una mediocre accademia di inutili privilegiati.

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mercoledì 22 marzo 2006

Parole antiche, esigenze nuove

      Dal dizionario verbale degli uomini d’oggi è scomparsa la parola doveri, sopraffatta dalla parola diritti nelle sue diverse sfumature naturali e sociali.
      Eppure la crisi che incombe impone di scavare nel profondo per riportare in superficie molte delle parole che circolavano ancora a metà del secolo scorso.
      Nessuno riesce più a far capire ai bambini le idee di desiderio, di sforzo, di impegno, di rinuncia, di privazione, in ultima istanza di lavoro.
      Il campanello d’allarme viene anche questa volta dalle scuole. Ma perchè i bambini e gli adolescenti dovrebbero desiderare qualcosa se la società affluente ne anticipa, anzi ne stimola ogni moto psicologico? E quei moti, a loro volta, come si formano, se non per imitazione, per noia o, nel peggiore dei casi, per invidia?
      Gavroche, ne “I Miserabili”, dava la colpa a Voltaire ed a Rousseau per avere avviato il cambiamento nella vita degli uomini: a chi daremo noi la colpa di aver privato i bambini del desiderio di tutto ciò che non si ha e che si spera di riuscire ad avere un giorno grazie alla propria fatica?

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giovedì 9 marzo 2006

Giustizia e Libertà

      Quale aspirazione prevale tra le pulsioni presenti nell’umanità: la Libertà o la Giustizia? Chi sapesse rispondere a questa domanda avrebbe scoperto la chiave per capire la storia del passato e le vicende del presente.
      I liberali sorsero come forza politica per cambiare il mondo contro i privilegi feudali. I socialisti, a loro volta, per cambiare il mondo contro le sperequazioni nella distribuzione della ricchezza dovute alla concorrenza nel mercato.
      Due forze che vogliono cambiare il mondo in direzioni opposte non possono associarsi e neppure concettualmente mescolarsi. Questo spiega l’esito deludente della ipotesi di Carlo Rosselli, autore, appunto, del saggio famoso sul “Socialismo liberale”.
      Non si tratta dunque di cercare compromessi più o meno storici o geografici, ma di scegliere tra il lavoro responsabile di uomini liberi e la difesa corporativa di categorie sostanzialmente privilegiate. Un popolo che sceglie il compromesso sceglie insieme il proprio ristagno ed il proprio declino.
      Certo, il mondo, che è assai più grande delle nostre beghe intestine, non s’accorgerà quasi per nulla del voto prossimo venturo, ma il nostro personale senso di responsabilità se ne accorgerà certamente.

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venerdì 24 febbraio 2006

L’Europa degli altri e l’Europa degli europei

      L’Unione Europea è l’oscuro oggetto del desiderio di africani, asiatici e sudamericani. È invece motivo di ansia per i suoi cittadini.
      Mercato comune, comunità economica, confederazione di stati sovrani o unione federativa, l’Europa moltiplica il suo potere di attrazione nelle aree esterne. Moltiplica invece le preoccupazioni tra i suoi cittadini.
      Nata dalla paura e dai dolori della guerra, l’Europa comunitaria ha saputo parlare per 50 anni piuttosto agli altri che non a se stessa. Lo dimostrano le attuali difficoltà che ritardano o rendono addirittura impossibile tra i 25 soci la ratifica di quel patto tra stati che pomposamente abbiamo deciso di chiamare Costituzione. I localismi emergono, le minacce al benessere si accrescono, il terrorismo dei kamikaze turba i nostri sonni.
      Il mondo esterno continua a sperare in noi, ma noi ci sentiamo sempre più depressi perché non sappiamo decidere se difenderci o subire.

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martedì 14 febbraio 2006

Scontro di civiltà?

      L’incendio del Kulturkampf segnalato da queste opinioni il 16 maggio 2004 trova oggi nuovo alimento nelle vignette danesi “antiprofeta”. Eppure l’unica opinionista che si fa paladina decisa dello scontro di civiltà, Oriana Fallaci, viene considerata in Occidente una pericolosa estremista e come tale cautelarmente emarginata.
      Assumendo ieri comportamenti errati sul tema della donna nel mondo mussulmano, assumendo oggi comportamenti errati sui rapporti tra il Profeta e Allah noi rischiamo di lasciarci trascinare dentro le storiche guerre intestine che hanno diviso e dividono i mussulmani in sunniti e sciiti. A quando il terzo irrimediabile errore?

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domenica 5 febbraio 2006

Par condicio

      L’idea democratica di garantire a tutti gli elettori uguaglianza di informazioni è balzana in sé e pura utopia nello sforzo di realizzarla. Un monologo contrapposto ad un altro monologo non ha mai prodotto un dialogo. L’inutilità della par condicio è evidente.
      L‘autore di queste opinioni avrebbe tuttavia una proposta segretissima da offrire a tutela delle attese e delle speranze dello spettatore.
      Basterebbe sfumare o addirittura silenziare il personaggio che attraverso il microfono - gestito e controllato - intende dar corso al gossip contro gli avversari anziché esporre il proprio programma.
      Lo chiamerei, perciò, metodo Hyde Park con ovvio riferimento alla riforma elettorale inglese del 1832 che mobilitò l’attenzione dei cittadini sul tema delle cose che Geremia Bentham giudicava proponibili ed in qualche caso anche utili alla società. In pratica il metodo Hyde Park attuava veramente la par condicio: uno che parla ed altri che ascoltano o non ascoltano, ma comunque riflettono sulle idee suggerite e non richieste lungo i viali del parco.
      Berlusconi che parla di D’Alema o D’Alema che parla di Berlusconi non ci interessano: abbiamo i quotidiani e i settimanali per informarci. Dalla sede radiofonica o televisiva vogliamo apprendere solo il programma di chi parla. Le tecnologie consentono ai moderatori non soltanto di controllare il tempo ma anche di cancellare la parola e l’immagine.

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domenica 29 gennaio 2006

Leggi e legalità

      Il numero delle leggi vigenti in un paese è inversamente proporzionale al suo livello di legalità, ai comportamenti dei suoi cittadini.
      Una siffatta opinione, così chiara ai fondatori di religioni e di stati, come si vede nel decalogo di Mosè, o nelle 12 Tavole di Roma, non è chiara affatto agli uomini del nostro tempo.
      Le Nazioni Unite ci offrono leggi in dimensione planetaria, l’Unione Europea ce le impone a livello ormai quasi continentale, la Costituzione della Repubblica infine ce ne offre una efficace sintesi, teoricamente vigente nell’intero territorio nazionale. Qui tuttavia cominciano i guai, perché a Bolzano, a Modena, a Vibo Valentia, a Messina il quadro normativo risulta diversificato secondo l’area regionale di riferimento. Come se ciò non fosse già un rischio abbastanza grave, ogni comune esercita una potestà normativa che spesso lo contrappone agli altri o all’ente “provincia”. Le circoscrizioni infine moltiplicano il numero delle “grida” e soprattutto la confusione e l’impossibilità di decidere in sede giudiziaria.
      Cui prodest? Nella polemica quotidiana contrapponiamo leggi “ad personam” a leggi “contra personam”, ma ci ostiniamo a moltiplicarle, invocandole sempre e comunque, quasi fossero dotate di un potere taumaturgico, in realtà inesistente.
      Temo tuttavia che i lettori di queste opinioni siano facile preda dell’opinione dei legulei, che nel mare delle velleità di normazione annegano quotidianamente, sepolti dalle loro stesse contraddizioni.

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sabato 14 gennaio 2006

Paradossi

      La Repubblica italiana è sedicente laica: il che è costituzionalmente corretto.
      È anche devotamente criptoclericale, come si è manifestata il 14 novembre 2003, giorno in cui Giovanni Paolo II chiese l’amnistia, parlando a Montecitorio, davanti ad un’assemblea in ginocchio. Questa, tuttavia, si vendicò due anni dopo, cancellandola dall’elenco delle cose da fare.
      Il triumvirato laziale, al 100% di sinistra, parla di PACS quando non fa visita al Sommo Pontefice, ma depreca Zapatero in occasione dell’omaggio tra le Mura Vaticane.
      Paradossi. Di chi la colpa? Almeno il Siccardi, ministro piemontese del 1850, riuscì a morire scomunicato da Santa Madre Chiesa. Oggi invece i nostri politici, di sinistra, di centro o di destra (con l’eccezione di una sparuta pattuglia di anticlericali incalliti), fanno a gara a contendersi i favori ecclesiali.

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martedì 3 gennaio 2006

2006: l’Occidente a metà strada

      L’anno che comincia ha il numero pari: Pitagora avrebbe detto che esso è perciò destinato a rimanere indefinito. L’Occidente capitalista cerca risposte a domande diffuse. Trova però quasi soltanto nuovi problemi.
      Qualche esempio: l’Europa pensata da Schumann e Monnet come liberale e da Altiero Spinelli come federale è alle prese con i campanili risorti, con il localismo tradizionalista sì, ma antieuropeo.
      La tecnologia informatica distrugge la “fabbrica” dell’industrialismo e costruisce un mondo di realtà virtuali francamente incomprensibili e assolutamente non tranquillizzanti.
      Marx aveva previsto la fine dello Stato ed il trionfo della Società ma si è scontrato contro Lenin che proprio sullo stato totalitario, dogmatico, bolscevico e sovietico ha puntato per distruggere l’odiata borghesia.
      Chi ha vinto? Chi vincerà domani?
      Per fortuna sappiamo che le soluzioni a cui i popoli tendono non si realizzano mai secondo le loro intenzioni. Forse Pitagora aveva ragione e l’eterogenesi dei fini li porta sempre a sbarcare su un territorio non solo sconosciuto ma addirittura non previsto.
      Chi tenga presente questa costante della storia degli uomini non andrà incontro né a depressione né a delusione né a tentazioni autoritarie.

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giovedì 1 dicembre 2005

Magia e scienza

      Di solito l’Opinione esprime un giudizio o un pregiudizio su un problema, quale che sia. Stavolta, invece, pone una domanda: è il mago che fa da apripista allo scienziato o, viceversa, ne preannuncia il funerale?
      La magia preistorica aprì la strada alla filosofia ed alla scienza dei greci e perciò dell’umanità tutta. Paracelso a sua volta la aprì da alchimista alla grande scienza chimica. A chi la apre oggi Harry Potter?
      Le dimensioni del fenomeno Potter sono così sconvolgenti, tanto nelle sale cinematografiche quanto nel mercato librario, che c’è da chiedersi davvero se Potter sia l’apripista di qualcosa per noi indecifrabile o se invece si limiti a preannunciare il funerale della scienza quale noi avevamo ereditato da Galilei, da Newton, da Freud o da Einstein.
      Il segnale è inquietante, ma forse solo per noi ancienne vague.

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domenica 20 novembre 2005

Evoluzione o involuzione sociale?

      Lyndon Johnson nel discorso sullo stato dell’Unione del 20 gennaio 1965 usò, per la prima volta, l’espressione “Società affluente”. Indicava con quel termine un modello di organizzazione civile ed economica che si lasciava alle spalle l’aristocrazia degli antichi privilegi, nonché il proletariato e la borghesia della “lotta di classe”.
      La definizione di Johnson finì per fungere da stella polare al “disagio” degli altri, ossia del terzo mondo ex coloniale e di quello comunista. Così si spiega come mai l’11 novembre 1989, mentre scompariva Michael Gorbaciov assieme alla sua non riformabile Unione Sovietica, emerse inattesa un’altra società. A differenza del capitalismo aperto di Johnson che auspicava un avvenire di benessere, di democrazia e di diritti, questa nuova società, che definiremo “influente”, tornò a rivendicare un regime di privilegi in nome di quella “informazione” della quale si riteneva ed era agente monopolista.
      Così si spiega che la società “affluente”, pur con tutte le sue discutibili origini e i suoi incancellabili equivoci abbia funzionato da motore dell’evoluzione sociale, mentre quella “influente” si chiude in difesa, ritornando al familismo pre-sociale, alla mafia pre-statuale, al nepotismo più sfacciato ed impresentabile.

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giovedì 10 novembre 2005

Europa

      Riusciranno i 25 a diventare non sappiamo se 33 o qualcuno di più? Gli Stati Uniti cominciarono a quota 13 ed oggi invece sono 50 (non contando District of Columbia). Ma erano ex colonie senza il peso di una tradizione nazionale alle spalle. In Europa il discorso è diverso. Avendo rinunciato a federarsi all’indomani del 1945, quando forse l’emozione ancora viva lo avrebbe consentito, probabilmente si illudono oggi di procedere verso traguardi di unificazione integrale del continente.
      Non converrà, allora, riesumare Charles De Gaulle e la sua Europa delle Patrie? Forse quell’idea rappresenta il punto d’incontro tra la Nazione che non vuol morire e l’unità che non riesce a nascere.

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mercoledì 26 ottobre 2005

Scenari per l’Unione Europea prossima ventura

      Scenario 1º: l’Unione Europea rimane alleata con gli U.S.A. pur non condividendone più la concezione del mondo. Esiti prevedibili: l’ombrello Nato vale più di una dignitosa e responsabile politica continentale.
      Scenario 2º: l’Unione Europea, terrorizzata dall’invasione extracomunitaria, si chiude entro un’illusoria muraglia. Esiti prevedibili: il ritorno di un’autarchia mediocre e della marginalizzazione planetaria.
      Scenario 3º: l’Unione Europea riscopre l’Africa, che poco interessa agli asiatici e nulla agli Stati Uniti. Esiti prevedibili: gli europei riscuotono la simpatia dei missionari cattolici e protestanti e, quel che più conta, di un terzo mondo decolonizzato male e gestito malissimo.
      Che Walter Veltroni abbia azzeccato sul tavolo verde della diplomazia la carta vincente?

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mercoledì 19 ottobre 2005

Il lupo perde il lupo ma non il vizio

      Saltare da 15 a 25 è impresa facile da immaginare, come è accaduto al Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, ma difficile da realizzare, come dolorosamente avverte il suo successore Barroso.
      Tuttavia la lezione che viene da Parigi e da Amsterdam, i cui referendum popolari hanno bocciato il testo della c.d. Costituzione Europea, non pare sia stata adeguatamente meditata. L’allargamento non solo prosegue ma, addirittura, accelera. E le difficoltà, ovviamente, continueranno a moltiplicarsi.
      Che Europa rischiamo di mettere in campo, tra un’Asia rinascente ed un’America combattente?

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giovedì 29 settembre 2005

“Sopire, troncare… troncare, sopire”

      Quasi rispondendo alla nostra precedente opinione (del 22 settembre 2005) il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, si è iscritto al partito del conte zio di manzoniana memoria. Si è convinto, infatti, che tra unità federale del continente e impetuosa rinascita dei localismi residuali l’unica scelta opportuna è oggi il “troncare e sopire”.
      Non sapremmo dargli torto. La situazione in atto non nasce da errori di oggi ma di ieri. Congelando le ratifiche sia parlamentari che referendarie sul testo della Costituzione europea si evita, hic et nunc, il peggio e l’irreparabile. Ma fra quattro anni, quando la Commissione attuale sarà alla vigilia della scadenza, siamo certi che i localismi residuali saranno meno robusti e aggressivi di oggi?

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giovedì 22 settembre 2005

Unione europea e movimenti localistici “residuali”

      Il 25 marzo 1957 i sei governi europei occidentali, nell’atto di dare la propria adesione al mercato comune, testimoniavano grandi paure ed insieme grandi colpevoli rimozioni: paure di altri stati europei ispirati a diversa ideologia e, addirittura, sospetti tra gli stessi aderenti, come per esempio tra Francia e Germania; rimuovevano invece come inesistente e “residuale” ogni espressione di punti di vista regionali diversi e distinti da quelli degli stati nazionali.
      L’attuale troppo lunga vicenda delle ratifiche referendarie o parlamentari della “Costituzione” europea dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che quello allora rimosso era non tanto “un” problema ma “il” problema della futura Unione.
      Il rigetto delle scelte nazionali prova che il tessuto culturale e le tradizioni locali non coincidono più con lo stato nazione. Siamo ancora in tempo a provvedere?

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giovedì 8 settembre 2005

Opinioni sì, dialogo no.

      Quando venticinque secoli or sono la dialettica nacque nella terra europea dell’Ellade le opinioni servivano a produrre il dialogo. Oggi invece non producono niente. Cosa mai è accaduto?
      Ogni categoria parla a se stessa, alla propria etnìa, scambiando per dialogo un flusso di parole che non aspira al confronto con parole di altri e perciò non produce dialogo.
      Rebus sic stantibus i traguardi possibili sono tre: 1) una sorta anomala di autismo; 2) una incomunicabilità generalizzata; 3) la “riscoperta” della parola e del dialogo.
      1) La fenomenologia dell’autismo, affiora tra la gente che ci circonda, in quel parlare che ciascuno fa solo con se stesso, chiudendo ogni varco alla comunicazione vera e propria, cioè al dialogo.
      2) L’incomunicabilità generalizzata esalta in noi il mito della torre di Babele, quando la parola non serve più a dare o a ricevere ma solo a far rumore.
      3) Un’Europa incamminata su questa strada non può in alcun modo trovare la via di Damasco. Può solo cadere nella desolante condizione di chi istituisce cattedre di scienza della comunicazione nello stesso momento in cui ne impedisce la fioritura.
      L’autentica riscoperta della parola e del dialogo avverrà certamente domani, come è già avvenuta altre volte nel passato (e basterebbe citare l’Atlantide di cui parla Platone nel Timeo); non però nelle accademie stantìe o negli studi spocchiosi di Saxa Rubra, ma nella quotidianità fresca, giovanile, inconsciamente carica di futuro dei nuovi europei, oggi ancora “extracomunitari”.

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venerdì 29 luglio 2005

Volontariato sociale come lavoro di massa?

      Ogni epoca storica ha conosciuto, nel lontano e nel recente passato, un suo specifico lavoro di massa. Agricoltori o mercanti e, più di recente, addetti al terziario hanno caratterizzato interi secoli e millenni. E domani?
      Se le tante Cassandre che incontriamo a tutti gli angoli hanno davvero ragione, allora è facile prevedere che il lavoro per le grandi masse del futuro prossimo nella vecchia Europa altro non potrà essere che il volontariato sociale di massa.
      Accadde una prima volta quindici secoli or sono, quando Benedetto da Norcia organizzò il monachesimo come alternativa al non-lavoro, dettando regole di cui l’Europa di allora seppe far tesoro. E oggi? Benedetto XVI potrà puntare sul volontariato sociale come alternativa al non-lavoro di massa.
      L’unica differenza è questa: Benedetto da Norcia offriva preghiera e lavoro e non chiedeva nulla se non l’impegno e la personale responsabilità dei monaci; il volontariato sociale, come surrogato dell’inesistente lavoro di massa chiederà stipendio fisso e pensione garantita.

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lunedì 18 luglio 2005

A chi l’ardua sentenza?

      Tra Livia Turco accogliente e Oriana Fallaci combattente chi ha ragione? Non lo so.
      Tra l’Islam moderato che dialoga con l’Occidente e quello radicale che lo maledice come nuovo Satana, dove sta la maggioranza? Non lo so.
      Una cosa, però, la so, senza dubbi e senza incertezze. Aveva torto Alessandro Manzoni quando, in rapporto ad una questione così grave e complessa come la sua di allora, delegava l’ardua sentenza ai posteri.
      Troppo comodo! L’ardua sentenza compete a noi, alla nostra generazione. A conflitto concluso ed archiviato (sperabilmente solo verbale o asimmetricamente terroristico come è in atto) scopriremo che o anche noi faremo parte della mezzaluna o anche la loro “altra metà della luna” avrà colto l’occasione per emanciparsi da un tradizionale servaggio di genere.
      Quanti nelle caverne dei talebani o nella stanza ovale della casa bianca hanno capito che, a livello planetario, la protagonista del conflitto in corso è, per la prima volta nella storia del mondo, la donna?

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giovedì 7 luglio 2005

Conclusione costituzionale provvisoria

      Superati i due primi esami, il testo di riforma immaginato dai “saggi di Lorenzago” incontrerà in autunno i due prossimi appuntamenti dall’esito certamente scontato, dato il rapporto delle forze parlamentari in questa legislatura; il referendum dell’articolo 138 avrà luogo all’inizio della prossima, così come è già accaduto per la riforma precedente (quella, diciamo così, “Bassanini”) dell’autunno 2001.
      Così la reciproca scomunica continuerà ad essere la costante dei rapporti tra apparenti maggioranze ed apparenti opposizioni, mentre il rischio vero che si nasconde nelle procedure adottate ed adottande è la moltiplicazione incontrollata dei costi della Pubblica Amministrazione, oltre a quanto già segnalato nell’opinione precedente.

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domenica 19 giugno 2005

Alla ricerca di un vero potere di governo

      Il punctum dolens dell’impotenza nazionale a riformare il testo sacro della Costituzione italiana sta certamente nella mancata definizione della sede reale del potere decisorio. Nei costituenti ciò nasceva dal desiderio di uscire una volta per sempre dall’incubo del regime monopartitico. Ma quella scelta, purtroppo, non ci ha liberato dal rischio opposto che sperimentiamo ogni giorno a Scanzano Ionico o ad Ariano Irpino quando si tratta di stabilire a chi compete l’ultima parola sui rifiuti solidi urbani.

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giovedì 9 giugno 2005

Vani tentativi di riforma

      Il divario – ed il conseguente disagio - tra la Costituzione dei diritti statuali quale era attesa dagli italiani nel 1947 e la Costituzione dei diritti della persona furono avvertiti nei primi anni ’80 da vaste aree della pubblica opinione, ma le commissioni incaricate non riuscirono mai a toccare gli equilibri profondi su cui la Costituzione era nata, sui quali si regge e dai quali non può in alcun modo essere diversamente riorganizzata. Quanto sia vera questa osservazione si ricava dal fatto che la principale riforma entrata in vigore non è costituzionale ma elettorale ed è legata a quella legge dell’agosto 1993 che, dando soddisfazione al referendum sulle preferenze, introdusse di fatto, sia pure parzialmente, il sistema maggioritario in luogo di quello esclusivamente proporzionale. Che la pubblica opinione abbia accolto con interesse il nuovo sistema elettorale e si sia acconciata a moduli politici mai prima sperimentati nel paese è un fatto su cui non esiste ancora opinione condivisa ma che caratterizza gli ultimi anni della vita politica italiana. Quando poi si tenta di passare dall’opinione dei cittadini alle proposte dei partiti, dei gruppi, dei monopoli, delle lobbies ci si ritrova di fronte a linguaggi diversi, a parole polivalenti, a discrasie ancora non superate.
      Così accadde per esempio nel 2001 quando negli ultimi giorni della legislatura venne approvata, con l’irrisoria maggioranza di quattro voti, quella riforma Bassanini che un successivo referendum popolare ratificò, forse senza adeguata riflessione.
      La stessa fortuna, più apparente che reale, rischia di arridere a quella controversa riforma che attualmente attraversa l’iter parlamentare dell’art. 138, ma che sarà chiamata a ratifica referendaria nell’autunno del 2006.

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mercoledì 25 maggio 2005

La Costituzione e i diritti della persona

      Negli anni ’60 l’interesse internazionale e nazionale verso il testo della Costituzione italiana apparve in continuo sviluppo: nella nuova prospettiva il cittadino non veniva più considerato protagonista unico della vita nazionale, ma prendeva il suo posto la “persona” con gli infiniti corollari che tale diversa concezione politica comporta. Di tale rivoluzione copernicana della politica pochi in Italia si accorsero allora, perché l’immediata vigilia dell’Assemblea Costituente era stata vissuta in un’atmosfera affetta da strutturale strabismo. Gli studi preparatori avevano dato prevalentemente la parola a studiosi della generazione più anziana, quella che in Assemblea ebbe invece solo pochi rappresentanti eletti nei movimenti di opinione. Ma, intanto, i partiti di massa avevano già raggiunto durante la lotta di liberazione quel compromesso che appagava tanto le sinistre quanto i cattolici. I primi infatti si legittimavano offrendo come garanzia del proprio impegno la rinuncia a ripetere in Italia la rivoluzione sociale d’Ottobre, gli altri a loro volta garantendosi il ruolo egemone nel paese attraverso la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi.
      Segnalare la discrasia culturale tra il prima e il poi, tra le attese e gli esiti, tra la palingenesi auspicata e le troppo deboli soluzioni adottate non è di per sé operazione sufficiente a fornirci le ragioni profonde e ricorrenti che, se ci riempiono di ammirazione nella dichiarazione dei diritti, ci riempiono di dubbi nella gestione concreta dell’amministrazione. Ma il lettore esigente, che non si accontentasse di questo bricolage intellettuale tra ricordi personali antichissimi, esperienze professionali di una prolungata ricerca e ascolti recentissimi à la page, potrà utilmente far ricorso ai saggi magistrali di Andrea Manzella e di Sabino Cassese nel recente testo Ragguaglio sull’Italia.
[Sabino Cassese, Ragguaglio sull’Italia, Laterza, Roma-Bari 2001]

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giovedì 5 maggio 2005

La riscoperta della socialità nella Costituzione

      Dopo gli anni della ibernazione seguirono quelli del risveglio, grazie al quale finimmo per riscoprire, nel corso degli anni Sessanta, che la nostra non era affatto l’ultima edizione aggiornata delle Costituzioni moderne, quelle nate tra il pensiero di Machiavelli, quello di Hobbes, di Spinoza, via via fino a Kant. Essa forse era il primo tentativo di una costituzione attenta più alla società che allo stato, più alla mutevole comunità delle persone che non alla platea rigida e fissa delle istituzioni.
      Il modello delle costituzioni statuali infatti aveva sempre concentrato la sua attenzione sugli istituti definendone prerogative e gerarchie, competenze e limiti. La nostra, invece, fa perno sul concetto di potere diffuso, di potere virtuale che appartiene a tutti e non è in alcun modo attribuibile in esclusiva a una sola autorità precostituita per legge.
      La nostra carta fondamentale si faceva in tal modo espressione non già dell’ordine costituito per legge, ma piuttosto della tutela dei diritti di persone, nella varietà dello spettro che la società ci offre: donne e studenti, cittadini ed extracomunitari, produttori e consumatori, associati e volontari.
      Ci avevano promesso la costituzione dei cittadini e ci siamo invece ritrovati davanti alla costituzione delle persone, secondo il modello comunitario espresso da Emmanuel Mounier, sulla rivista Esprit, fin dal 1934. Portavoce di tali idee fu nell’Assemblea Costituente il cattolico Giuseppe Dossetti che riuscì ad intendersi soprattutto con gli esponenti del Partito Comunista come si vide nel quadro della votazione dell’articolo 7 sui rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia.

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domenica 24 aprile 2005

La Costituzione ibernata

      Oggi è idea largamente diffusa che la Costituzione italiana del 1948 abbia viaggiato sempre a vele spiegate nel giudizio dei suoi politici e nella pratica delle sue istituzioni. Ciò è falso almeno in rapporto ai primi dodici anni della sua vigenza. Allora essa fu più spesso accantonata che praticata, ibernata in frigorifero come proponeva Mario Scelba che la vide in qualche modo come un’insidia da evitare più che come un programma da realizzare.
      Il disgelo prese il sopravvento all’indomani della crisi Tambroni, quando le vicende genovesi mutarono il quadro nazionale dando torto ai conservatori dorotei e via libera ai riformisti dell’apertura a sinistra. Tuttavia non dalle vicende politiche e parlamentari del paese è possibile risalire a quella mutazione genetica grazie alla quale il seme di novità che il testo costituzionale conteneva si manifestò fecondo nei più diversi settori della vita culturale e sociale non solo tra noi, ma anche tra molti stati di recente decolonizzazione. Già il 10 dicembre del 1948, cioè appena un anno dopo la sua approvazione e quando l’Italia non era ancora stata ammessa all’ONU, il testo dei nostri costituenti risulta chiaramente presente agli estensori di quella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” che l’Organizzazione delle Nazioni Unite adottava in prospettiva planetaria.

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domenica 10 aprile 2005

Opinioni costituzionali

      In attesa del prossimo dibattito parlamentare in seconda lettura del testo di riforma costituzionale in gestazione, offro qui al lettore, in rapida successione, una serie di opinioni costituzionali per informare, chiarire, contrastare funeste illusioni e ribadire antiche speranze. Esse sono tratte da “Lavori in corso per la riforma della Costituzione italiana” pubblicato sul numero 150. Estate 2004 della rivista La Critica Sociologica diretta da Franco Ferrarotti, che qui caldamente ringrazio.
      Da venti anni i nostri politici tentano e ritentano operazioni parziali di riforma della legge fondamentale della Repubblica, ma a tutt’oggi i risultati appaiono fortemente contestati e largamente deludenti. Perché mai? Altri paesi o non hanno una costituzione scritta, come è il caso del Regno Unito, e non hanno perciò esigenze di modifica, oppure hanno un testo che via via aggiornano attraverso emendamenti costituzionali che consentono al paese di rimanere fedele ai padri fondatori e aggiornato alle esigenze dei tempi: questo è il caso degli Stati Uniti d’America. C’è infine il terzo modello, quello francese, che passa senza grandi difficoltà dalla prima alla seconda e via via fino alla quinta repubblica, senza mettere in gioco il concetto dello stato e neppure quello dei diritti dei cittadini. In Italia invece le cose sono andate e vanno assai diversamente. Lo prova il ricorrente fallimento a partire dai lavori della Commissione presieduta da Aldo Bozzi nel 1984 fino alle attuali proposte di riforma da introdurre nella struttura costituzionale dello Stato in base al procedimento previsto e indicato nell’art. 138.

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giovedì 24 marzo 2005

Lazio apripista

      Se non proprio di coppe e di scudetti, almeno di abili compromessi per sanare l’evasione fiscale pregressa la Lazio sarà certamente maestra, almeno agli italiani di oggi.
      L’Agenzia delle Entrate, così rigorosa quando scopre tre giorni di ritardo nel pagamento di qualsiasi cartella, ha inventato per la Società Sportiva addirittura una rateizzazione di ben 236 mensilità pari a 23 anni solari.
      A tutt’oggi il fisco concedeva, per legge, non più di 60 mensilità. Dove andiamo, ragazzi? Ci mettiamo tutti in corsa sulla pista aperta dalla Lazio?

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domenica 13 marzo 2005

Risarcimento finalmente negato

      Tango-bond argentini, Parmalat, obbligazioni Cirio ed altre scorciatoie per arricchimenti accelerati non avranno risarcimenti da pubblico denaro. Lo ha stabilito un articolo della mediocrissima legge sulla tutela del risparmio votata pochi giorni fa. Fatto inconsueto che merita proprio perciò di essere sottolineato albo lapillo. Finalmente una decisione responsabile da parte di una maggioranza che troppo spesso ci riserva delusioni. Il gatto e la volpe promettevano monete d’oro a Pinocchio: che senso ha che dei cittadini pretendano il risarcimento per una operazione speculativa che è tutta da risolvere all’interno della loro personale responsabilità? Partecipazione, democrazia e capitalismo di massa proprio questo volevano significare. In caso contrario il minus habens tale rimarrà per tutta la vita, anche se un giorno sì e l’altro pure procederà tentando qualche furbesca operazione finanziaria: “tanto alla fine paga sempre Pantalone”.

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giovedì 24 febbraio 2005

Risarcimento

      Uno dei progetti di legge che, all’inizio del suo secondo mandato, George Bush ha preparato per la Camera dei Rappresentanti e per il Senato USA ha come oggetto il risarcimento. Il punto nodale consiste nel limitare il diritto al risarcimento solo alle persone danneggiate, escludendo i rimborsi ottenibili attraverso associazioni di consumatori, sindacati di categoria, cooperative sorte con l’unico scopo di indennizzare tutti i virtuali aventi diritto, compresi defunti e nascituri (class action).
      Se il lettore di queste opinioni prova a rileggere quella intitolata “Dal Risorgimento al Risarcimento”, che nel settembre 2003 ha inaugurato questa rubrica, sarà indotto a chiedersi se per caso l’inquilino della Casa Bianca con il suo potentissimo motore… di ricerca non abbia incrociato appunto l’opinione n. 1.
      Scherzi a parte: non è segno dei tempi nuovi che la legislazione americana si prepari ad abbandonare quell’area di riforme su cui si era posta all’avanguardia?

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venerdì 11 febbraio 2005

Il giorno della memoria

      Finalmente! La pressione convergente dei media ha finito per sbloccare una situazione ormai troppo a lungo considerata come naturale. Ieri, 10 febbraio 2005, gli italiani hanno voltato pagina su un tema assai difficile: le foibe.
      Ma ci saranno modi e tempi più adatti per offrire al lettore la nostra opinione su questo o su quel problema particolare.
      A me preme oggi ricordare che il 10 febbraio 1947, quando a Parigi si riunì la conferenza della pace che chiudeva per noi gli anni amari della sconfitta, la neonata Repubblica Italiana diede forfait. A rappresentare il nostro paese non andò infatti né il Presidente provvisorio Enrico De Nicola né il Capo del Governo Alcide De Gasperi e neppure uno qualsiasi dei tanti ministri e sottosegretari disponibili. Fu incaricato, invece, di apporre una firma meramente notarile un diplomatico, il Lupi Di Soragna, certo grande commis d’état, ma estraneo ad ogni significato politico.
      Quelli che, come l’autore di questa opinione, avevano allora più o meno venticinque anni ed avevano fatto la guerra prima e dopo l’8 settembre 1943 notarono l’assenza ed il quasi ostentato disimpegno dei politici. Li turbò tuttavia il fatto che, nei giorni successivi nessun organo di stampa mostrò di essersi accorto della cosa. Cinque mesi più tardi, quando la Costituente discusse e votò la ratifica del trattato di pace si capì che le forze politiche volevano nascondere la cruda realtà dei fatti nell’illusione di non rispondere mai più delle peculiari responsabilità di ciascuno.
      Questo primo episodio di amnesia collettiva ha condannato spesso la Repubblica Italiana ad un ruolo marginale e la sua classe politica ad una scarsa dimestichezza con le ragioni profonde della patria, della nazione, della storia.
      Ben venga, dunque, il giorno della memoria.

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venerdì 10 dicembre 2004

Tra feste e lavoro il silenzio delle opinioni

      In uno dei suoi “Pensieri diversi” Giacomo Leopardi ci propone un aureo consiglio. Lo espongo qui non con le parole sue, che non ricordo, ma con parole mie: per celare agli altri i confini del vostro sapere non oltrepassateli mai. Abbiate il buon gusto di tacere tutte le volte che la vostra opinione metterebbe a nudo i limiti delle vostre conoscenze.
      Su feste e lavoro non ho mai capito se è il secondo che genera le prime o viceversa se sono le prime a generare il secondo. Nel 1889 la Seconda Internazionale decise che il 1° maggio di ogni anno fosse la festa del lavoro. Ma, qualche tempo dopo i due termini cominciarono a confondersi fino al punto da travestirsi l’uno con gli abiti dell’altro e così oggi ci si affatica, spesso, più per festeggiare che per lavorare e si lavora, semmai, solo per riempire un intervallo fra due feste.
      Pochi giorni fa taluni amici che mi vogliono bene mi hanno chiesto brutalmente un’opinione in merito. Rispondo dichiarando la mia confusione mentale sul tema che mi induce ad un silenzio augurale ai festanti perché tornino al lavoro e ai lavoratori perché vivano ogni giorno della loro vita come una festa.

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mercoledì 1 dicembre 2004

La rivoluzione delle parole (parte I)

      Dopo l’evidente fiasco delle rivoluzioni borghesi e proletarie forse è venuta finalmente l’ora di usare armi diverse.
      Se è vero l’adagio antico che la lingua ne uccide più della spada nulla vieta di credere che la nuova arma atomica possano essere davvero le parole e solo le parole.
      In tal caso gli arsenali altro non sarebbero che dizionari da usare come gli chassepots o le molotov per vincere le battaglie e le guerre.
      Che dire di una rivoluzione che abolisca nella lingua italiana una parola, per esempio “donna”, sostituendola con la “femmina” dell’uomo secondo il modello francese o con la castigliana “mujer” per liberarla finalmente da quel residuo classico di “domina” che ne altera la natura, i compiti e la fisionomia complessiva?
      È certo un’idea da matti, ma non è escluso che possa produrre risultati liberatori nei confronti di una figura umana ingiustamente sacrificata di fronte a compiti talmente elevati che ne modificano palesemente l’equilibrio psicosomatico se è vero quel che si dice nelle statistiche attuali circa la depressione, l’anoressia, la chirurgia plastica.
      Ogni granello di follia, come Erasmo ci insegna, prima di essere evitato come malanno merita di essere considerato come seme di possibile saggezza.

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martedì 23 novembre 2004

Homo sapiens, faber, ludens, videns

      Variazioni sul tema homo da oltre un millennio.
      In un recente saggio, però, Giovanni Sartori sospetta che il quarto homo possa distruggere i primi tre. Sartori ha pescato l’idea nelle pagine di Karl Popper, ma riesce a sviluppare una polemica contro la televisione assai convincente.
      L’atto del vedere, infatti, sta al pensare, al fare, al fantasticare ludico non già come un’alternativa, ma piuttosto come la virtualità dell’umano, che può anche appassire o morire come accade agli embrioni senza sviluppo. Certo, il politologo si preoccupa di quanto la regressione dal pensare, dal costruire tecnologico, dal creare artistico al semplice e passivo atto del vedere possa influire negativamente sui destini della democrazia di massa. Ma come si fa a dargli torto davanti alle immagini del “Grande Fratello” o dell’“Isola dei Famosi”?

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lunedì 8 novembre 2004

Dall’unico Dottor Zivago ai molti Dottor Divago

      Il primo lo conosciamo tutti. Era il protagonista di un romanzo che lo scrittore russo Boris Pasternak affidò al giovane editore italiano Giangiacomo Feltrinelli nel 1957 perché potesse finalmente vedere la luce. La vide ed ebbe addirittura il Nobel della letteratura l’anno appresso. Oggi a quasi 50 anni da allora possiamo attribuire a quel Dottor Zivago il merito (o la colpa?) di avere avviato la irreversibile crisi culturale del comunismo leninista e staliniano.
      Chi sono, invece, i molti Dottor Divago? Sono quelli che divagano, che parlano d’altro, perché si rifiutano di sapere com’è davvero il mondo d’oggi. Delle tre famose scimmiette hanno la cecità della prima, la sordità della seconda , ma, al contrario di quella muta, hanno lo scilinguagnolo facile. Intellettuali ex-qualcosa, combattenti e reduci da battaglie perdute, si ostinano a guardare dall’altra parte perché non vogliono credere che la società, negli ultimi 50 anni sia veramente e irrimediabilmente mutata.
      Così accade che, all’indomani di ogni storica sconfitta, elettorale, o diplomatica, o militare, riescano a convincersi di avere, in realtà, vinto e stravinto; e perciò combattano imperterriti per un ideale ormai defunto senza accorgersi, come il Pangloss di Voltaire, del terrorismo planetario.

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martedì 26 ottobre 2004

Chi è senza peccato…

      Non esistono cittadini italiani che possano scagliare la prima pietra. Abbiamo peccato tutti: quelli che al referendum confermativo dell’autunno del 2001 hanno partecipato e quelli che hanno disertato le urne. Gli uni hanno avallato un testo affrettato, incompleto e zoppo. Gli altri, andando al mare, non hanno consentito che si formasse una chiara maggioranza.
      Quello che molti non hanno ancora capito è che si tratta di scegliere fra modelli antitetici, tra i quali non esiste mediazione possibile. Tertium non datur tra le Costituzioni che disegnano la struttura e i limiti dello Stato moderno, laico, liberale e democratico e le Costituzioni che delineano i diritti virtuali e futuri delle persone nella società democratica. Quando avremo risposto al dubbio se la nostra Costituzione appartenga al primo o al secondo modello sarà più facile evitare equivoci e confusioni.

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giovedì 14 ottobre 2004

“Canizie vituperosa” e “gioventù bruciata”

      Le crisi di un tempo sfociavano in metamorfosi socio-politiche e socio-economiche spesso violente e risolutive perché lo scontro tra “vecchi” e “giovani” era reale e non già mediatico.
      Così accadde al papato che si ostinava a minimizzare il dissenso e si trovò di fronte Martin Lutero. Così accadde a un re di Francia, che, dichiarandosi indifferente per il diluvio prossimo venturo, affilò la lama che tagliò la testa al suo successore. Così accadde infine a quello Zar di tutte le Russie che, inseguendo i fantasmi onirici di un monaco superstizioso, preparò la fucilazione dell’intera famiglia imperiale.
      Oggi tutto ciò non può più ripetersi, perché lo scontro quotidiano e quasi permanente è in realtà solo catodico, nel senso che i “vecchi” sono ormai senza più prestigio e senza più esperienza, mentre i “giovani” sono senza energia e senza volontà.
      Forse questa opinione pecca di estremismo apocalittico: ma come si fa a iscriversi al partito degli “integrati” quando dal piccolo schermo a tutte le ore del giorno e della notte i problemi dell’umanità ci ballano intorno in un pianeta ridotto a villaggio, in un tempo senza prima né poi, in una attività globalizzata e impersonale?

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martedì 5 ottobre 2004

Noli sacra tangere

      La massima che fa da titolo a questa opinione si legge in un monastero medievale spagnolo. Tradotta bonariamente essa rammenta al monaco di non mettere mai le mani sulle cose sacre. Di questa massima io mi ricordo tutte le volte che incontro la lunga lista di quanti, negli ultimi vent’anni, da Aldo Bozzi in poi, hanno tentato di mettere le mani… sul testo della Costituzione italiana.
      Quando nell’autunno del 1946 i costituenti si posero il problema, emersero tra loro due opinioni: c’erano gli “storicisti”, guidati dal relatore Paolo Rossi, coscienti che ogni cosa che nella storia si forma, nella storia si trasforma. Ma c’erano anche gli “eternalisti”, che, considerando sacra la Costituzione che si accingevano a scrivere, ne ipotizzavano la futura intangibilità. Ovviamente, in quella sede, nessuno osò contrapporsi alla scienza giuridica del relatore, ma l’esperienza più ravvicinata ci mostra la persistente vitalità di quanti, giudicando che le cose sacre sono in qualche modo fuori della storia, rifiutano ogni proposta evolutiva.
      Così si spiega che Franco Bassanini abbia potuto proporre solo una mezza riforma, ottenendone poi la ratifica da un referendum senza quorum e perciò senza maggioranza. Ma si spiega anche la incomunicabilità permanente tra chi, magari senza idee troppo chiare e senza adeguata valutazione dei costi, qualcosa di nuovo vorrebbe inserire nella Magna Charta degli italiani. Quousque tandem?

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lunedì 20 settembre 2004

Aboliamo le province in Italia

      L’opinione che si legge nel titolo fu espressa da Luigi Einaudi sia come economista (1919) sia come deputato costituente (1946). Ma, trattandosi di opinione seria, meditata, positiva, non ebbe successo.
      Essa, tuttavia, potrebbe – domani 21 settembre 2004 – contribuire al superamento delle difficoltà che la repubblica italiana incontra sul tema delle riforme costituzionali.
      La proposta consiste nel sopprimere uno dei termini in gioco: non più comuni, province e regioni, tutte entità variamente coinvolte nella gestione delle autonomie locali, ma solo i comuni e le regioni. Luigi Einaudi pensava che le funzioni e il personale attualmente impegnati nelle amministrazioni provinciali potrebbero essere opportunamente “spalmati” sui comuni e sulle regioni, con trasferimento di personale del settore pubblico, senza rischiare né l’esplosione dei costi, né la frammentazione del campanile, né il rifiuto degli spostamenti di sede per l’ormai acquisita inamovibilità del personale e senza neppure quella moltiplicazione dei centri decisionali che rischia di trasformare in babele amministrativa ogni singolo provvedimento da emanare.
      Il vero problema non è nella dialettica tra centro e periferia, dialettica meramente terminologica e perciò sostanzialmente innocua, bensì nel rischio che accomuna sia la riforma Bassanini del 2001 sia il progetto in discussione oggi. Entrambe rischiano, infatti, di promettere un surplus di partecipazione civica e di dare invece un insostenibile aumento dei costi.
      Si può oggi praticare l’opinione di Luigi Einaudi? Se sì, facciamolo subito.

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domenica 4 luglio 2004

La pausa delle opinioni

      Quando, nel pieno dell’estate, i lavori agricoli si erano conclusi Ottaviano Augusto introdusse, come è noto, le ferie d’agosto, inventando, con ciò, il Ferragosto.
      Noi, moderni e modernissimi, celebriamo il culto dell’imperatore andando in ferie.
      L’appuntamento per opinioni nuove ed aggiornate viene perciò rinviato alla rentrée, vuoi scolastica, vuoi parlamentare, ma ormai anche agricola, industriale e “servizievole”.

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mercoledì 23 giugno 2004

Don Abbondio si è laureato in medicina e chirurgia

      Il medico di una volta con pochi strumenti, ma con molto coraggio concludeva la visita comunicando al paziente la sua diagnosi ed ordinandogli una terapia.
      Da quando Don Abbondio ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia, mentre le tecniche sanitarie si sono diffuse a tutti i livelli, la visita del paziente si conclude invece con la ricerca mediante analisi, vuoi nell’urina o vuoi nel sangue di qualcosa che potrebbe essere così ma anche diversamente. Quando il risultato dell’analisi è pronto il medico chiede il parere dello specialista, che procede a nuovi e più raffinati accertamenti fino alla tomografia assiale computerizzata, alla risonanza magnetica, o a più complessi procedimenti per arrivare comunque alla stessa amletica conclusione. Ricoveri e degenze, laparascopie teleguidate sono certo occasioni di nuova esperienza, ma sono anche la vera profonda insuperabile ragione per cui il bilancio della sanità appare assolutamente incontrollabile e destinato a crescere all’infinito.

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martedì 15 giugno 2004

Responsabilità personale come terapia sociale

      Si moltiplicano, nella cronaca quotidiana, le richieste di intervento pubblico a sostegno delle fallite iniziative dei singoli. Quanto rischio ci sia nell’andazzo alla moda è difficilmente calcolabile, anche se di numeri e di cifre si tratta.
      Quando Benjamin Spock si eresse a paladino dell’infanzia non prevedeva, certo, di moltiplicare la crisi spirituale dell’infanzia.
      Quando Simone De Beauvoir si eresse a paladina dell’altra metà del cielo non pensava affatto di moltiplicare le ragioni del disagio della donna nel mondo contemporaneo.
      Quando le società di certificazione, dal gigante Enron ai nanerottoli di casa nostra, hanno procurato la crisi finanziaria di aziende e di banche, l’imprevedibile esito è stato quello che abbiamo in gestazione nel parlamento italiano: un rimborso a piè di lista a tutti gli incauti sottoscrittori.
      L’elenco potrebbe continuare quasi all’infinito. Ma la storia dell’umanità ci insegna, invece, che progrediscono solo quei popoli che sono severi nell’educazione dei bambini, rigorosi nel rispetto delle tradizioni, fermi nel dare o nel negare a seconda della responsabilità della persona.

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giovedì 3 giugno 2004

Monologo sui massimi sistemi

      È proprio vero che la filosofia serve a cambiare il mondo? Lo pensò Paolo di Tarso, auspicando un uomo nuovo grazie alla fede nel Cristo della Redenzione. Tornò a pensarlo, più di recente, Carlo Marx, in quella “glossa su Feuerbach” in cui dice che la filosofia o serve a trasformare il mondo o non serve a nulla. Dopodichè l’uno e l’altro sono stati prescelti da milioni di esseri umani come guide spirituali e materiali, in vista di un mondo migliore. Il primo, tuttavia, è avvantaggiato sul secondo, dal fatto che quel mondo migliore è collocato nel Cielo, mentre il secondo, più ingenuamente, pensava davvero di offrirlo hic et nunc.
      Quante tragedie all’ombra di tali idee!
      E se, invece, ci limitassimo a pensare che la filosofia esprime solo o l’esigenza di una scienza rigorosa come accadeva in Husserl o la metafora di un valore come accadeva nella critica di Emanuele Kant?
      Massimi problemi, certo. Problemi che tre millenni non ci hanno consentito di risolvere, forse perché abbiamo tradito le indicazioni molto più modeste e concrete che l’antropologia naturale ci ha fornito come in realtà ci fornisce dai tempi di Platone a quelli di Popper.

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mercoledì 26 maggio 2004

Resipiscenza

      Forse i Verdi cominciano a convertirsi all’equilibrato realismo dei primordi e ciò merita di essere segnalato.
      Quando gli italiani si diedero una Costituzione l’ambiente naturale lambiva appena il terreno della politica e non andava molto al di là della difesa del paesaggio. Venti anni più tardi le cose cambiarono con imprevista celerità. Frutto privilegiato del movimento sessantottino, essi indicarono i pericoli e i rischi a cui l’umanità andava incontro.
      Chi non ricorda Aurelio Peccei e il Club di Roma? Ma i neofiti sono sempre pericolosi perché immaginano virtuose palingenesi. Così negli ultimi anni hanno finito per privarci non solo di Bacco e Tabacco, ma anche di alcune scoperte scientifiche in nome di una purezza della natura da conservare entro i limiti e gli equilibri d’antan. I Verdi sono diventati così nemici di tutto e di tutti, correndo in difesa di quegli organismi geneticamente non modificati che della natura conservano il profumo e la dignità. Ma siamo quasi sette miliardi e non possiamo pretendere di rispettare l’ambiente se vogliamo che sopravvivano gli animali, le piante e gli uomini.
      Segnalo come resipiscenza la recente conversione dell’Accademia Pontificia delle Scienze che, remando controcorrente, ha scoperto che il granturco e la soia meritano uno strappo alla purezza originaria della specie.

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domenica 16 maggio 2004

Fantasmi e Kulturkampf

      Il fantasma di cui parlava Carlo Marx nel Manifesto dei comunisti era, appunto, il comunismo: incubo che turbava i sonni della borghesia.
      Il fantasma che turba oggi i sonni di un’area importante del mondo islamico è l’emancipazione della donna. Non la tortura in sé e per sé, dunque, come masochisticamente sostengono i nostri media, ha procurato quella improvvisa fiamma di guerra santa contro gli infedeli che divampa oggi a tutte le latitudini del pianeta. È invece la tortura in quanto inflitta da una donna ad essere inaccettabile per una vasta area di cultura islamica.
      L’avvenire, come è noto, non ci appartiene. Può darsi che la fiammata in atto si risolva in una guerra civile intra-islamica tra riformatori timidamente in marcia e teocratici fondamentalisti.
      Può darsi invece che la fiammata ci coinvolga già per il solo fatto che infedeli lo siamo certamente. Nell’uno o nell’altro caso, però, sempre di Kulturkampf si tratta, cioè, mutatis mutandis, di scontro di civiltà.

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venerdì 7 maggio 2004

La supplenza… costituzionale

      Fin dal suo primo giorno di vita la Costituzione della Repubblica italiana ha richiesto l’opera di un supplente.
      Negli anni ’50 alla Costituzione in frigorifero supplivano i decreti prefettizi e la continuità formale della legislazione antecedente al 1° gennaio 1948.
      Poi le cose cominciarono a cambiare perché i cittadini non riconobbero più nei partiti politici la struttura garante della partecipazione democratica, che individuarono invece nei sindacati, con tutte le supplenze e le degenerazioni conseguenti. Valga una sola per tutte: come si spiega che il Presidente della Repubblica, autorizzato dalla Costituzione a parlare solo per messaggio al Parlamento o al popolo sia diventato una sorta di cattedra ambulante, un supplente imprevedibile che esterna un giorno sì e l’altro pure? Pertini e Cossiga, Scalfaro e Ciampi non hanno nelle rispettive personalità quasi alcun punto in comune, eppure la divaricazione tra costituzione formale e costituzione materiale li ha costretti tutti a provvedere alla supplenza, proprio perché gli organi costituzionalmente competenti si venivano rivelando ogni giorno di più inetti a concludere, impossibilitati a decidere.
      Né questa, ahimé, risulta essere l’unica supplenza in atto. Hodie de hoc satis.

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giovedì 29 aprile 2004

Unione Europea da 15 a 25

      Oggi, 29 aprile, è il penultimo giorno di vita dell’Unione Europea di 15 membri. Dal 1° maggio 2004 l’allargamento approda a 25 Stati.
      Tutto bene, dunque, almeno negli input che il sistema dell’informazione pubblica trasmette ai cittadini d’Europa. Ma forse le cose non stanno veramente così. C’è una cartina al tornasole che ci rivela le tante ambiguità inconfessate e le debolezze conseguenti: tale cartina si chiama Iraq. Abbiamo infatti Gran Bretagna ed Italia con Bush, la Spagna prima con, poi contro Bush, la Francia e la Germania dissociate e marginali, la Polonia impegnata strabicamente a combattere sì, nel deserto, ma con l’occhio rivolto ai vantaggi che aderendo all’Unione potrà conseguire, magari a spese del Mezzogiorno d’Italia.
      Se aggiungiamo la considerazione che il trattato costituzionale elaborato da Giscard d’Estaing e da Giuliano Amato è ancora in gestazione, non respinto da alcuno, ma da nessuno, a tutt’oggi, approvato e ratificato e che non sappiamo neppure se ogni Stato continuerà a votare con diritto di veto come è avvenuto finora o senza più tale diritto, forse ci recheremo al seggio elettorale, il prossimo 12-13 giugno, con qualche perplessità in più e con qualche certezza in meno.

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mercoledì 21 aprile 2004

Lo spazio della democrazia

      Nell’agorà di Atene, nel foro di Roma, sul sagrato della pieve nel borgo rustico fuori delle mura del castello feudale, la democrazia tentò i suoi primi incerti esperimenti. Continuò nella piazza civica delle libere città rette vuoi dal console, vuoi dal podestà, vuoi dal signore. Tappe più o meno lunghe, più o meno diversificate che gli storici riscoprono nella preistoria giuridica e politica dello Stato laico dell’età moderna.
      Ma laddove la società è rimasta ferma alla teocrazia dogmatica, alla etnia totalizzante, alla tribù originaria, che senso ha offrire la democrazia del pluralismo e della tolleranza?
      Entro tali limiti anche l’autore di queste opinioni prende le distanze dalla guerra di George Bush che gli ricorda tanto quella pre-crociata di cui parlano i cronisti: un confuso movimento fatto di volontari fanatici e di masse che le popolazioni del tempo chiamarono “crociata dei pezzenti”. Rimaniamo piuttosto in attesa del feroce Saladino o di Goffredo di Buglione.

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venerdì 9 aprile 2004

Analfabetismo

      Tullio De Mauro ha denunciato di recente l’anomala persistenza di una larga evasione dell’obbligo scolastico nell’Italia del 2000. Denuncia meritoria, certo: ma perché sorvolare su altri analfabetismi altrettanto diffusi ed altrettanto pericolosi?
      Uno di questi, quello cosiddetto “di ritorno”, è stato ripetutamente segnalato dai sociologi più attenti e attribuito in gran parte alla “cattiva maestra televisione”. Poco rilievo, invece, si usa dare ad una forma di analfabetismo nascente da frequentazione passiva e burocratica della scuola in vista del diploma conclusivo. Quando gli alunni distratti diventano, poi, frequentatori di stadi e di discoteche, emerge il fallimento sostanziale della scuola, almeno in rapporto a quella finalità di formazione democratica che gli Stati moderni le avevano attribuito.
      L’obiettivo minimale (leggere, scrivere, far di conto) certo è raggiunto. Ma il desiderio di crescere e la capacità di scegliere certamente no.

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domenica 28 marzo 2004

Nutro fiducia (come Luigi Facta?)

      Quando lo scorso 25 marzo ho appreso dalla radio che il progetto di riforma costituzionale preparato dai “quattro saggi di Lorenzago” aveva avuto il primo dei quattro voti necessari a norma dell’art. 138 ho ripensato all’Opinione del 21 settembre 2003.
      Confermo tutte le mie perplessità espresse in quell’occasione, non già sul federalismo ma sullo stato unitario che tenta di diventare federale.
      Questa volta, però, aggiungo una piccola preoccupazione: e se Alessandro Tassoni, risvegliandosi dopo quattro secoli, tornasse a cantare la infelice e vil secchia di legno che rapiro ai petroni i gemignani, alimentando così l’infinito pettegolezzo delle cento città italiane?
      Ma il mestiere della Cassandra non si addice a chi nutre fiducia. Mi conforta l’idea che il papato e l’Europa, allora ostili all’unità degli italiani, hanno ora, invece, interesse a preservarla e conservarla.

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lunedì 15 marzo 2004

Politica ed economia

      Negli ultimi cinquanta anni la politica corre verso improbabili poteri planetari. L’economia, invece, procede dalla produzione per il mero consumo locale alla globalizzazione integrale. Il potere sovrano, un tempo, si esercitava con lo scettro ed il sigillo. Oggi si ferma troppo spesso davanti al veto di questo o di quello. Nello stesso istante, invece, la World Trade Organization condiziona i consumatori canadesi producendo in Australia e, viceversa, i consumatori australiani producendo in Canada. Cosa possiamo attenderci da una corsa così sfrenata e così contraddittoria?

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mercoledì 3 marzo 2004

Dalla teocrazia violenta alla libertà dei laici

      In Europa siamo tutti indignati per la ferocia dei sunniti esercitata sugli sciiti.
      Ma abbiamo davvero, noi europei, tutte le carte in regola per esprimere il nostro sdegno di uomini della pace, della convivenza, del rispetto delle minoranze?
      L’Islam è dilaniato oggi ancora da una frattura interna che contrappone ortodossi ed eretici ormai da quasi 13 secoli e mezzo.
      Ma cosa mai accadeva in Europa quando a Parigi il 24 agosto del 1572 i cattolici sterminavano nella notte di S. Bartolomeo, 2.000 uomini in un colpo solo, 2.000 eretici “ugonotti” cioè anch’essi cristiani come i cattolici? Il papa, apprendendo la notizia, si affrettava a celebrare in San Pietro un Te Deum di ringraziamento.
      E cosa accadeva quarantotto anni dopo, quando le truppe cattoliche di Spagna e d’Austria sterminavano intere popolazioni nelle vallate alpine dei Grigioni e del Valtellinese? I 20.000 (dicesi ventimila) trucidati senza pietà vennero indicati come “il sacro macello della Valtellina”.
      Come si spiega, dunque lo sdegno di oggi? Sunniti e sciiti sono musulmani così come cattolici e protestanti sono entrambi cristiani.
      Si spiega grazie al cauto accostamento che il cristianesimo ha operato tra il XVII e il XX secolo accettando, alla fine, nel Concilio Vaticano II, i temi della tolleranza e della pacifica convivenza.
      Chi era stato però il vero protagonista di quella cauta convergenza? Era stata forse la scomunica tridentina o non piuttosto quel pensiero laico, quella diaspora di eretici che aveva seminato l’idea dell’autonomia della coscienza individuale?
      Il pensiero laico: ecco quello che è mancato a tutt’oggi ai fedeli di Maometto.

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lunedì 1 marzo 2004

Le parole rigorose

      Per fare le riforme bisogna educare gli uomini dell’informazione, quelli della decisione e quelli della sanzione all’uso rigoroso delle parole.
      Se continuiamo a dire “equilibri più avanzati” costringiamo il grande Euclide, fondatore della geometria, a rigirarsi nella tomba. “Equilibri più avanzati”, infatti, non possono esistere giacché il punto di equilibrio tra forze diverse è uno ed uno solo.
      Se diciamo “convergenze parallele” manchiamo di rispetto a Talete, filosofo e matematico, autore del famoso teorema sulle parallele e sulle trasversali. L’idea di “convergenze parallele” lo avrebbe fatto ridere perché si tratta di termini in contraddizione tra loro.
      Se oggi qualcuno come il senatore D’Onofrio scopre la “contestualità attenuata” fa torto a Leonardo Sciascia, notoriamente inventore del “contesto”, nonché a quei tecnici della NASA che attenuando e indebolendo l’uranio, continuano a far guerre nucleari senza più il “botto” grosso.
      Forse il segreto è tutto qui: ottenere il risultato senza il “botto”.

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lunedì 23 febbraio 2004

Il buonsenso in Europa

      Il buonsenso non ha mai avuto credito in Europa. Anche quando, alla fine del ’700, tentò di opporsi agli ideologismi astratti dei filosofi, si espresse solo in aree marginali e periferiche con Nicola Spedalieri in Sicilia, con Jaime Balmes in Catalogna, con Thomas Reid in Scozia: voci di seconda fila che lasciarono pressoché indifferenti gli intellettuali di allora, come lasciano indifferenti i loro nipotini di oggi.
      Così si spiega che gli europei pontifichino su una verità che presumono di avere ma non hanno e soprattutto si capisce perché regolarmente puntino sulla carta perdente.
      Accadde a Pio XII che avrebbe preferito l’anticomunismo ispano-argentino piuttosto che il patto atlantico americano; accadde a Charles De Gaulle che, costruendosi una sua piccola force de frappe si era illuso di rilanciare contro l’egemonia yankee la grandeur de France; accadde infine a quegli apostoli dell’Ulivo che volarono alla Casa Bianca per convincere Bill Clinton della nuova verità rivelata. Ma continua ad accadere tutti i giorni da tutte le cattedre della stampa e della TV che ci dimostrano come l’America sia alla vigilia della fine e si ritrovano, il giorno appresso, con un’America vincente.
      Ahimé, nostalgia del buonsenso, che ci avrebbe forse tempestivamente liberato da pronostici infausti e da previsioni sbagliate! Non preoccupiamoci troppo, tuttavia: noi europei siamo anche abituati a salire il giorno dopo sul carro del vincitore.

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martedì 17 febbraio 2004

Le riforme, il consumo e la vita politica

      Nella fisiologia del cuore si alternano diastole e sistole, rispettivamente spinta del sangue in periferia e distribuzione di esso a tutte le cellule che ne hanno bisogno per sopravvivere.
      Due sole sono dunque le funzioni vitali: produrre nutrimento e distribuirlo.
      Per analogia se ne deduce che in politica esistono solo due movimenti legittimamente necessari e necessariamente legittimi: il produrre e il consumare. Il capitalista produce, il socialista consuma: l’essenziale è che tanto l’uno che l’altro siano democratici, tolleranti e pluralisti, disposti ad accettare la supremazia dell’altro quando alla conta risulti più numeroso.
      Capitalismo liberista e socialismo democratico sono dunque opzioni vere. Tutte le altre sono soltanto parole, parole, parole.

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lunedì 9 febbraio 2004

Puntiamo sull’ “uomo responsabile”

      Lo Stato che introduce il risarcimento danni come indennizzo alla fallita speranza di una facile ricchezza è forse il penultimo capitolo di quella storia contemporanea che trova titolo nella deresponsabilizzazione assoluta del singolo. Perché la grande promessa socialdemocratica che garantisce alla persona umana la fruizione di ogni bene senza impegno e sforzo, senza selezione meritocratica, senza rischio e con la certezza di un risarcimento finale?
      Nella scuola, nelle professioni, nell’economia, nel rapporto tra società diverse ed aree produttive in ovvia concorrenza è giusto che il migliore trovi nel successo e magari, più tardi, nell’insuccesso la conferma di aver visto giusto.
      Lo Stato che provvede dalla culla alla tomba, giorno dopo giorno, si trasforma dalla auspicata democrazia delle persone nella massa indistinta degli aventi diritto. Il che apre l’ultimo capitolo della lotta dell’uomo per la giustizia sulla terra non più in nome della equità ma del consumismo più sfrenato a spese di una collettività irresponsabile. Crediamo davvero che per questa via si approdi ad una più ecumenica ed egualitaria vita sulla terra? Al lettore l’ardua risposta.

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mercoledì 21 gennaio 2004

Il potere diffuso

      Negli ultimi 20 anni, con Aldo Bozzi, con Ciriaco De Mita, con Nilde Jotti, con Massimo D’Alema, con Franco Bassanini abbiamo tentato di metter mano a qualche parziale aggiustamento del testo costituzionale del 1948, senza mai concludere alcunché. Anche in questi giorni recitiamo il solito copione. Perché?
      Perché la prima parte, originalissima e assai moderna, non deve assolutamente essere modificata: giusto, giustissimo. Ma la seconda, che ci offre l’articolazione dei poteri, e perciò la natura del potere in Italia, appare a sua volta come un labirinto, da prendere o da lasciare, da custodire o da ripudiare, quasi senza possibilità di moderate e graduali riforme. Perché?
      Perché nella nostra Costituzione il potere non appartiene a nessuno in via esclusiva e appartiene a tutti, in quanto “diffuso” negli organi, alti e bassi, centrali o periferici del corpo sociale e della struttura nazionale.
      Le cronache del cinquantennio che abbiamo alle spalle sono piene di rinvii e verifiche, di polemiche e conflitti giurisdizionali veri e propri, perché i costituenti non hanno indicato esplicitamente chi fa che cosa e chi quella cosa non può fare.
      Così è accaduto che cercando il Presidente della Repubblica, troviamo un potere bloccato da un altro potere (artt. 87 e 89); cercando il Presidente del Consiglio incontriamo un primus inter pares mediatore sempre, decisore mai.
      Quando poi cerchiamo nel Parlamento l’organo della sovranità troviamo partiti politici e gruppi parlamentari e, dietro questi ultimi, addirittura, i sindacati, di ambigua collocazione e cittadinanza costituzionale, ma di asfissiante presenza nel momento della formazione delle leggi.

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domenica 11 gennaio 2004

Perché sono eterologo e me ne vanto

      L’evangelista Giovanni, come è noto, apre il suo evangelo con le parole: “In principio era il Logo e il Logo era Dio e il Logo era da Dio”. Eterologo dunque significa non già “di altro genere”, ma solo di altro linguaggio.
      Quando i nostri parlamentari chiamano eterologa la fecondazione artificiale che dovrebbero chiamare “eterogenica”, commettono un errore non dirò politico ma almeno semantico.
      Queste opinioni, invece, sono davvero eterologhe, tanto è vero che sono completamente isolate, gridate nel deserto, prive assolutamente di riscontri dialettici, negativi o positivi. Eterologo è solo chi parla un linguaggio diverso e non già chi fornisce un diverso seme. Ma l’uso improprio del linguaggio da parte dei giornalisti, in particolare di quelli televisivi, ha preso il sopravvento almeno negli orecchi se non proprio nei cervelli degli italiani e quindi non c’è più niente da fare.

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martedì 30 dicembre 2003

Elogio della responsabilità personale

      L’Umanesimo e il Rinascimento avevano concepito l’uomo come faber suae fortunae e perciò meritevole di vincere o di perdere nella grande e imprevedibile arena della vita.
      Ma quando nel 1929 la crisi dell’economia capitalistica travolse all’improvviso le grandi speranze di progressi economici indefiniti, gli uomini pensarono di rifugiarsi sotto un ombrello protettivo che garantisse a tutti, dalla culla alla tomba, la soddisfazione concreta dei loro bisogni.
      Alcuni individuarono quell’ombrello nel GOS PLAN dell’Unione Sovietica, che prometteva benessere a tutti chiedendo come unica condizione la rinuncia alla libertà, cioè alla dignità dell’uomo. Altri lo cercarono nel corporativismo fascista, falangista, salazariano, o peronista; altri, infine, nel bellicismo paganeggiante dei nazisti: esperienze tutte ormai chiuse e tragicamente concluse.
      L’idea più felice per superare la crisi la ebbe un economista inglese, Keynes, che propose, come soluzione per ridar vita alla produzione, la stimolazione artificiale dei consumi, più salari ai lavoratori per creare quei potenziali consumatori che avrebbero riattivato il sistema.
      Parve e fu una formula magica, che consentì agli americani non solo di superare la crisi, ma di vincere la guerra, di dare una mano agli europei con il piano Marshall, di diffondere un benessere mai visto prima. Troppa grazia Sant’Antonio!
      Quando il ciclo economico tornò a farsi incerto e oscuro ci si accorse, però, che l’enorme debito pubblico accumulato come deficit spending dai singoli stati, pesava non su questo o su quello, ma tutto intero sulle spalle dei futuri nipoti, mentre ai figli si continua a dire, oggi ancora, che salute e sapere, ricerca e arte, cultura e risarcimento danni, tutto compete all’impersonale intervento dello stato. Alla buon’ora! Che siamo ormai sette miliardi non vuol dir proprio niente?
      E se tornassimo all’idea che ciascuna persona venga educata alla responsabilità suggerendo che l’uomo vale non per le garanzie di cui gode ma per le energie che riesce ad esprimere? Sarebbe un modo prudente e opportuno di legare il futuro al passato, la ragionevolezza alla coscienza dei nostri limiti.

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sabato 20 dicembre 2003

Attendibilità dei pentiti

      Il pentimento appartiene, come è noto, alla sfera del peccato e non alla sfera del reato. Così è accaduto che i cattolici nell’era delle persecuzioni imperiali pagane potessero qualificare come lapsus o addirittura relapsus quel fedele che il giudice romano giudicava invece infedele perché apostata.
      Attendibile è dunque il politico che ha cambiato idea, il Girella che procede per convenienza e non già per mistica di fede. Per lo stesso motivo il terrorista pentito è attendibile, il mafioso no.
      Il mafioso è uomo di fede: crede davvero, come Brusca, che il famoso “papello” di Totò Riina debba essere creduto idoneo al miracolo della sua fede. Il giudice romano condannava, quello palermitano crede, o fa finta di credere, a conversioni obiettivamente impossibili.

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martedì 9 dicembre 2003

L'Unione che si divide invece di unirsi

      Lo scorso 11 ottobre l’opinione che appare in questa pagina era dedicata al virtuale conflitto tra grandi e piccoli all’interno dell’Unione Europea nascente.
      Due mesi più tardi l’opinione si ripete e, per quanto nessuna opinione possa aspirare ad un futuro di verità, rimane il fatto che la cronaca la conferma, la ripete, la ribadisce.
      In questo torneo di numeri e di parole, alla vigilia della scelta definitiva, riusciamo, tuttavia, ad individuare i veri protagonisti: un Filippo II, Re di Spagna, che si imbarca sull’Invincibile Armata ed un Giovanni Sobieski, Re di Polonia, reduce vittorioso contro i Turchi. Né l’uno, né l’altro, tuttavia, avevano mai capito la vera natura dell’Europa e proprio perciò i loro eredi oggi buttano all’aria la bozza di Costituzione.

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domenica 30 novembre 2003

Unione Europea?

      Quando, negli anni cinquanta, sei stati d’Europa, tre grandi e tre piccoli, decisero di costituire un mercato comune la paura di Hitler e della guerra non era ancora passata. Così si spiegano l’entusiasmo e l’impegno di allora ma si spiegano anche le innumerevoli difficoltà di oggi, quando, tra i venticinque titolari, la paura non c’è più.
      L’Unione Europea, ieri in mano a funzionari espertissimi di regolamenti di loro invenzione, ha camminato forse troppo in silenzio per oltre quarantacinque anni. Riuscirà a resistere nel nuovo clima del terzo millennio, quando alla porta bussano ancora altri aspiranti, nel quadro di un mondo tanto più piccolo quanto più globalizzato, interconnesso e, per di più, presuntamente democratico?

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sabato 22 novembre 2003

La scelta di una filosofia di riferimento

      Ho deciso di rompere i rapporti con le filosofie sistematiche che pretendono di dare risposta a tutte le domande. Già da tempo avevo preso le distanze dalle filosofie ideologiche e dalle dottrine fideistiche che intendono trasformare l’uomo, vuoi con la metánoia di Paolo di Tarso o con la rivoluzione sociale di Carlo Marx. Negli ultimi tempi mi hanno deluso le teorie, diciamo così, umanistiche dell’esistenzialismo, della psicologia del profondo o del rifugio nella logica formale.
      E allora?
      Vorrei proporre un filosofo di seconda fila, apprezzatissimo dalla tradizione culturale inglese e dal pragmatismo americano, contestatissimo invece in Italia. Si tratta di Geremia Bentham, positivista, utilitarista, razionalista. E di che altro abbiamo bisogno noi oggi, se non di sostituire l’analisi dei fenomeni al culto dei miti, il calcolo dell’opportunità alla fiducia integrale, pronta, cieca e assoluta, proposta da tutti i cattivi maestri?

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sabato 1 novembre 2003

“Bachi” di millenni

      Se ogni millennio ha il suo “baco”, tra il secondo e il terzo il passaggio del testimone alimenta dubbi e incertezze. Il secondo millennio si era nutrito di certezze dettando le regole oggettive della scienza con Galileo e Newton, con Kant e Laplace ma è giunto al traguardo del nuovo millennio niente meno che con la relatività di Einstein e con il principio di indeterminazione di Heisenberg.
      Queste cose le conosce ogni modesto studente liceale che però ingenuamente crede all’eternità dei princìpi della politica. Si tratta però di un marchiano errore.
      Il millennio numero due dell’era cristiana si era aperto, infatti, con le teocrazie, con le crociate, con l’assolutismo intollerante. Si è concluso però con l’idea ecumenica delle varie obbedienze religiose, con il progetto di uno stato multietnico che tutela le minoranze, accogliendo e proteggendo i “diversi”.
      Solo che, nel frattempo, lo Stato onnipotente si è già sfaldato evaporando verso l’alto delle organizzazioni internazionali o planetarie e verso il basso dei campanili del “natìo loco”.
      Come se non bastasse, il cittadino di Rousseau e le persone di Mounier si travestono da consumatori e chiedono allo Stato non più leggi e certezze, ma risarcimento danni a piè di lista. Qualcuno pagherà: se non proprio in questa stessa generazione, certamente all’interno di quel terzo millennio tra le cui nebbie muoviamo i primi passi.

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martedì 21 ottobre 2003

Gli americani sono colonialisti?

      Se G. B. Vico ha ragione quando sostiene che natura di una cosa indica il modo come essa è nata, allora hanno torto tutti quelli che si nutrono di un facile antiamericanismo sempre più alla moda.
      Gli Stati Uniti d’America nacquero da una lotta anticolonialista e, a differenza di gran parte degli Stati europei, non hanno mai praticato il colonialismo attivo e sfruttatore della tradizione nostrana.
      Nel 1941 sul Potomac, nel suo ruolo di presidente di una repubblica non ancora impegnata nel conflitto mondiale, Roosvelt contesta a Winston Churchill il passato coloniale della Gran Bretagna. Qualche anno più tardi nel nuovo ruolo di presidente democratico di una repubblica aggredita e perciò belligerante, lo stesso Roosvelt a Teheran e ancora a Yalta era più diffidente verso l’Inghilterra colonialista che verso il sovietico Stalin, dittatore comunista sì, ma colonialista vecchio stile no.
      Eppure sostenere questa idea oggi in Italia significa condannarsi ad emarginazione certa perché gli europei sono riusciti in pochi anni a dimenticare di essere stati salvati due volte dalla rovina: la prima dalla libera America di Wilson e la seconda, per non dire d’altro, dal piano Marshall.

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sabato 11 ottobre 2003

Unione Europea

      Il recente confronto romano tra CONVENZIONE e COMMISSIONE, cioè tra Giscard d’Estaing e Prodi, a ben guardare, altro non è che uno scontro tra i numeri e le parole.
      Numeri, cari agli statistici, sono i chilometri quadrati del territorio, i milioni o le semplici migliaia di abitanti, il prodotto interno lordo, il reddito pro capite. Parole, care ai retori e ai chiacchieroni, sono tradizione e cultura, arte e civiltà, diritto e morale.
      Ma se gli europei litigano prima di cominciare davvero i tempi dell’Unione, è facile prevedere che a trarne vantaggio sarà Buddha o Confucio o, più probabilmente, Maometto: personaggi tutti di dubbia matrice europea.

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domenica 21 settembre 2003

Riforma federale no, forma federale sì

      Con troppa leggerezza negli ultimi dieci anni abbiamo apprezzato l’idea di riforma federale. Ma la Storia ci dice che la federazione garantisce la vera unità degli stati quando nasce insieme allo stato stesso. Ne costituisce invece il fattore dissolvente quando la si voglia introdurre in uno stato centralizzato o per effetto di operazioni militari e diplomatiche o per altre scelte politiche.
      Ex pluribus unum sta scritto nella bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti d’America, i quali, accanto alla Svizzera, costituiscono l’esempio di una federazione che non solo resiste, ma cresce e si sviluppa. Altrove, invece, là dove era stato adottato con ingenua superficialità il termine federazione senza che le popolazioni ne provassero il sentimento o ne vivessero la spinta unificante, capitomboli imprevedibili hanno cancellato dalla carta geografica una grande potenza come l’Unione Sovietica o uno stato presuntamene federale come la Jugoslavia del 1918 e poi ancora del 1945.
      Non per nulla il deputato costituente italiano Andrea Finocchiaro Aprile provò a sostenere che, volendo introdurre la federazione in Italia, occorreva preventivamente sciogliere lo stato unitario fondato sui plebisciti e costituirne un altro fondato appunto sulla scelta di coabitazione volontaria.
      Ma siccome una richiesta in tal senso non esisteva e non esiste nella maggior parte delle regioni italiane, parlare di federazione come riforma non solo non vuol dir niente, ma può anche voler dire andare incontro al destino della Bosnia e dell’Erzegovina, del Kosovo o della Macedonia.
      Ecco perché forma federale sì – se ne esiste l’istanza popolare – riforma federale no.

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lunedì 8 settembre 2003

Dal Risorgimento al Risarcimento

      Come motore della storia dei popoli e delle vicende dei singoli c’era, una volta, il risorgimento, l’impegno a cambiare le cose con il sacrificio personale di chi aveva intenzione di cambiarle. Così, per esempio, la borghesia aveva combattuto il capitalismo feudale prendendone il posto e il proletariato aveva combattuto la borghesia.
      Oggi invece c’è il risarcimento, la richiesta di indennizzo, concetto mutuato dal diritto barbarico che troviamo tra i Longobardi quando Rotari stabilisce: si quis nasum alicuius abscisserit componat ei solidos tres. Bel progresso che abbiamo fatto! Dal diritto come giustizia siamo ricaduti nella quantificazione del danno. Hanno cominciato a colpire le corporazioni professionali, ma già si intravede la nuova forma di lotta politica, che rovescerà finalmente l’odiato capitalismo non più con lo sciopero o con la lotta di classe, ma con la spoliazione pura e semplice dei suoi capitali.

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